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Corrado Vivanti - Clelia Della
Pergola
Da Mantova alla Svizzera.
In fuga per la salvezza
A cura di Alessandro Vivanti - Prefazione
di Silvana Calvo
Dal settembre 1943 la situazione degli
ebrei in Italia, già molto difficile per le leggi antiebraiche
emanate nel 1938, divenne ancora più drammatica quando –
come ha scritto Michele Sarfatti – dalla “persecuzione
dei diritti” si passò, sotto l’occupazione nazista
e la Repubblica sociale italiana, alla “persecuzione delle vite”.
Gli ebrei che si trovavano nelle zone dominate dalle forze nazifasciste
dovettero cercare scampo all’immediata minaccia di deportazione
verso lo sterminio. Molti dal Centro e dal Nord dell’Italia
si diressero verso l’unico Paese neutrale che sembrava potesse
dar loro accoglienza: la Confederazione Elvetica.
Nel libro sono pubblicati due testi: il primo, una memoria scritta
in età matura da Corrado Vivanti, celebre storico, che ricorda
gli anni della fanciullezza a Mantova; il secondo è il diario
tenuto dalla madre, Clelia Della Pergola, nei mesi di internamento
in Svizzera, dove la famiglia riuscì fortunosamente a trovare
rifugio sino alla fine del conflitto. Due testi che riportano al periodo
in cui la situazione degli ebrei italiani cambiò repentinamente,
passando in un decennio da una apparente normalità al baratro
della Shoah. La complessità e la tragicità di quegli
anni sono riflesse nelle vicende che coinvolsero la famiglia Vivanti,
ben inserita nell’ambiente di una città di provincia
in cui la presenza ebraica, attestata fin dal 1145, venne incoraggiata
dai Gonzaga. Soltanto col regime mussoliniano le restrizioni nel settore
educativo e lavorativo cominciarono a minarne la tranquillità,
influenzando pesantemente la vita quotidiana. Dopo le pagine di Corrado
Vivanti il Diario svizzero di Clelia Della Pergola ci porta così
ai giorni concitati della fuga e alla lunga permanenza in Svizzera
nell’incerta condizione dei rifugiati.
Corrado Vivanti (Mantova 1928 -
Torino 2012), è stato docente di Storia delle dottrine politiche
all’Università di Torino, di Storia moderna all’Università
di Perugia e alla Sapienza di Roma. Nel dopoguerra ha aderito al movimento
degli haluzim e tra il 1950 e il 1953 è vissuto in Israele.
Tornato in Italia, si è laureato all’Università
di Firenze con Delio Cantimori su Le campagne del Mantovano nell’età
delle riforme. Dal 1957 al 1962 ha studiato a Parigi sotto la direzione
di Fernand Braudel. Nel 1962 è stato chiamato a Torino all’Einaudi,
per occuparsi in particolare del settore storico; con Ruggiero Romano
ha diretto la Storia d’Italia; ha curato l’edizione
delle Opere di Machiavelli e, tra il 1996 e il 1997, Gli
ebrei in Italia. Nel giugno 2002 ha ricevuto il Premio Presidente
della Repubblica per la Storia, all’Accademia dei Lincei di
Roma.
Clelia Della Pergola Vivanti (Firenze 1896 - Mantova
1981), secondogenita di Raffaello Della Pergola ed Emilia Todeschini,
si trasferì da Firenze a Mantova con la famiglia. A tredici
anni cominciò a lavorare nella pellicceria dei suoi zii, entrando
poi in società con un cugino. Si sposò a Mantova con
Moise Gino Vivanti nel 1919, ed ebbe due figli, Arrigo e Corrado.
Dopo il matrimonio, contrariamente a quello che avrebbe voluto suo
marito Gino, riprese l’attività che l’appassionava,
in una pellicceria di sua proprietà, e da allora – tranne
che nel periodo della fuga in Svizzera, fra il dicembre 1943 e il
1945 – vi lavorò fino al giorno prima di morire, quasi
ottantacinquenne.
88 pp. con 38 illustrazioni - ISBN 978-88-7158-238-2
- 10,00 Euro
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Valeria Graffone
Espulsioni immediate.
L’Università di Torino e le leggi razziali, 1938
Presentazione di Gianmaria
Ajani, Rettore dell'Università di Torino
Prefazione di Fabio Levi
“La violenza della discriminazione
antisemita compiuta anche all’interno delle Università
dal regime fascista, qui riprodotta e illustrata da Valeria Graffone,
grazie alle carte serbate ed ordinate nell’Archivio Storico
dell’Università di Torino, si manifesta, proprio in quelle
carte, con una evidenza crudissima. È un impasto al contempo
ottuso e crudele quello che emerge dalla contabilità della
discriminazione, che carica di vergogna non solo chi volle tale violenza
e ne dispose gli strumenti coattivi, ma anche chi, all’interno
degli Atenei, ne fu esecutore.
Una vergogna che conferma lo scandalo
dell’adesione pressoché totale dei docenti ed accademici
italiani al giuramento di fedeltà al fascismo, nel 1931.
Con l’approvazione e la successiva attuazione del corpus delle
leggi antiebraiche, e delle disposizioni amministrative che le accompagnarono,
tra il settembre e il novembre 1938, la politica razzista del governo
fascista colpì in modo esteso i 27 Atenei del Paese, lasciando
al loro interno una ferita profonda. Una ferita che risulterà
difficile da rimarginare, slabbrata dall’imbarazzato (ed ancor
oggi imbarazzante) silenzio che ne accolse la promulgazione, dalla
ottusità pedante nella persecuzione, ma anche dalla inquietante
ed infastidita lentezza che segnerà la fase post-bellica del
rientro su quelle cattedre troppo rapidamente riassegnate ad altri
docenti e meschinamente accettate”.
Dalla Presentazione al volume
del Rettore dell’Università di Torino Gianmaria Ajani
“I documenti proposti al lettore
in questo libro, nella loro cruda esemplarità, mostrano meglio
di qualsiasi ragionamento i tanti aspetti di una pagina oscura nella
storia dell’Università di Torino e di tutto il Paese.
Mostrano la violenza, la protervia e l’assoluta irragionevolezza
delle misure che portarono nel 1938 all’espulsione degli ebrei
– docenti, studenti e personale tecnico-amministrativo –
dall’Ateneo torinese, come peraltro dall’insieme della
vita sociale; la dimensione molto ampia della ferita allora inferta,
anche solo in termini percentuali sull’insieme della comunità
accademica; la solerte obbedienza dell’istituzione nelle sue
diverse articolazioni; l’assenza di qualsiasi opposizione o,
più precisamente, la diffusa acquiescenza a tutti i livelli
di chi assistette all’espulsione dei colleghi senza aprire bocca;
l’offesa alla dignità della cultura e la depravazione
dell’intelligenza di tanti uomini colti; la meschinità,
dopo la guerra, di un sistema e di tanti individui incapaci di rimediare
alle proprie colpe, perseverando, pur in condizioni molto diverse,
nell’errore e nell’offesa”.
Dalla Prefazione di Fabio
Levi
Valeria Graffone lavora dal 2007
all’Università degli Studi di Torino, dove ha conseguito
la laurea triennale in Scienze della Comunicazione e le lauree magistrali
in Comunicazione Multimediale e di Massa e in Comunicazione per le
Istituzioni e le Imprese. Ha inoltre conseguito la maîtrise
in Information et Communication all’Université Jean Moulin
Lyon III. Nel 2006 ha ricevuto dal sindaco Sergio Chiamparino il “Premio
Tesi di laurea su Torino” per la tesi magistrale “Tra
partecipazione civica e protagonismo giovanile: il progetto ‘I
ragazzi del 2006’”. Di prossima pubblicazione sulla rivista
scientifica internazionale Trauma and Memory il contributo “
‘Con fredda ferocia e con ostentato pregiudizio’:
la persecuzione all'Università di Torino” in atti del
convegno internazionale Le conseguenze delle ‘Leggi razziali’
del 1938 sulle università italiane, Università
di Roma Tre, dicembre 2018.
164 pp. con 75 illustrazioni - ISBN 9788871582375 - 24,00
Euro
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Marta Nicolo
Un impegno controcorrente.
Umberto Terracini e gli ebrei, 1945-1983
«Che Umberto Terracini (1895-1983) considerasse
la propria attenzione per il mondo ebraico come una dimensione essenziale
del suo essere comunista non ci sono dubbi. Dire invece che quel suo
spiccato interesse fosse in piena sintonia con la tradizione e la
storia del partito comunista italiano sarebbe un errore. Terracini,
come per molte altre cose, fu un’eccezione. Basti confrontare
anche solo la conti-nuità con cui non distolse mai lo sguardo
dalle vicende degli ebrei con l’episodicità dell’interesse
mostrato al riguardo da molti suoi compagni e dall’insieme del
partito, mossi più da ragioni politiche di altra natura o legate
alle necessità del momento che non da convinzioni profonde
e inderogabili: la lotta antifascista, la memoria della guerra, le
discussioni sul Medio Oriente o altro ancora.
Perché allora l’eccezione Terracini? Richiamare, come
fanno alcuni, le sue pur inoppugnabili radici ebraiche è troppo
poco. Nel gruppo dirigente del PCI anche altri avevano ascendenze
simili, ma non per questo – si pensi ad esempio a Emilio Sereni
– manifestarono le sue stesse aperture. Certo, la provenienza
ebraica e l’educazione ricevuta in gioventù non mancarono
di sviluppare in lui una particolare sensibilità a quel mondo,
favorendo una vicinanza e una comprensione che per un non ebreo sarebbero
state assai meno immediate. Ma ci fu anche dell’altro. Non va
sottovalutato che essere finito nelle prigioni fasciste molto presto
tenne al riparo Terracini da molte delle nefaste influenze dello stalinismo,
cui soggiacquero al contrario altri dirigenti comunisti. Quando poi,
nel ’43, tornò in libertà, dovette misurarsi in
prima persona con il rischio concreto di essere deportato. Se a tutto
questo aggiungiamo una indipendenza di giudizio mantenuta con incrollabile
fermezza pur in condizioni difficilissime, e la convinzione che fosse
l’uomo a dover stare al primo posto e non il partito, mezzo
e non fine dell’azione politica, è forse possibile abbozzare
una risposta meno ovvia al quesito da cui siamo partiti.»
Dalla Prefazione di Fabio Levi
Il libro ha per tema l’attenzione
per il mondo ebraico nella vita e nell’opera di Umberto Terracini.
Nel secondo dopoguerra il suo impegno al riguardo si espresse in tre
campi principali: la società italiana, che faceva ben poco
per reintegrare le vittime delle leggi antiebraiche del 1938 e delle
deportazioni; il il Medio Oriente, dove il nuovo Stato di Israele
e le speranze che incarnava furono oggetto di un rifiuto via via sempre
più ra-dicale; infine la situazione in Unione Sovietica, nella
quale l’antisemitismo diventò un fatto di prima grandezza.
Terracini seguì tutto questo con cura e consapevolezza, facendone
oggetto di riflessioni pubbliche e di azioni coraggiose. Ma soprattutto,
oltre ad intervenire in Parlamento, sulla stampa e ovunque gli fosse
possibile, non esitò mai, su tutti e tre i fronti nei quali
si sentiva impegnato, a mettersi in gioco personalmente, per essere
più efficace e per non perdere mai il rapporto diretto con
i propri interlocutori. Marta Nicolo documenta e analizza puntualmente
tutte queste attività restituendoci nel volume il ritratto
di un intellettuale e uomo politico italiano di cui risultano l’originalità
di pensiero e la coerenza nell’azione concreta.
Marta Nicolo, laureata in Storia
all’Università degli studi di Torino, ha conseguito il
dottorato di ricerca in Studi Storici sotto la guida di Fabio Levi.
Si occupa di resistenza femminile e di storia e didattica della shoah
per l’Istituto storico della Resistenza di Biella, Vercelli
e della Valsesia; i suoi studi si concentrano ora in particolare sulla
storia di Israele e sull’antisemitismo. Ha pubblicato su «l’Impegno.
Rivista dell’Istituto per la storia della Resistenza e della
società contemporanea di Biella e Vercelli» i contributi
Dalla Storia alla Memoria ( XXXV, nuova serie, n. 1, giugno
2015) e Al servizio della Costituzione. Umberto Terracini (1895-1983),
presidente dell’Assemblea costituente (XXXVI, nuova serie,
n. 1, giugno 2016); suoi saggi sono contenuti nei volumi collettanei
La festa della Fagnana. Storia, protagonisti, aneddoti della festa
de l’Unità della Fagnana e della gente della Valsessera,
Biella 2016 e Critica clandestina? Studi letterari femministi
in Italia. Atti del convegno, Sapienza Università di Roma
3-4 dicembre 2015, a cura di Maria Serena Sapegno, Ilenia De Bernardis,
Annalisa Perrotta, Roma 2017.
184 pp. - ISBN 9788871582344
- 24,00 Euro
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Guido Fubini
L’antisemitismo
dei poveri
Guido Fubini ha sviluppato in questo
libro una serie di considerazioni sull’antisemitismo. Il ragionamento
va diritto al cuore dei problemi, organizzandosi intorno a tre questioni
principali. Al primo posto viene Israele o, più esattamente,
la forte preoccupazione per il "rifiuto di Israele" indicato
come forma spe-cifica di una più generale ostilità contro
gli ebrei. Il secondo centro di attenzione è dato dall'antisemitismo
di sinistra. Il terzo è costituito dalla politica antiebraica
del fascismo italiano avviata nel 1938. A partire dai tre nodi appena
indicati il discorso si apre in molte direzioni, illuminando le varie
facce dell'antisemitismo contemporaneo: dagli Stati Uniti all'Europa,
al contesto arabo-islamico, allo stesso mondo ebraico e a quello israeliano.
Animato da un indiscutibile coraggio intellettuale e segnato dall'intreccio
fra un vigoroso slancio ideale e un costante disincanto realista,
Fubini si adopera a contrastare l'illusione che le classi diseredate
siano ne-cessariamente portatrici di istanze progressive, quando viceversa
possono spesso essere proprio i più deboli, i "poveri",
la forza trainante dell'antisemitismo.
Corredano il volume la Presentazione di Fabio Levi, la Prefazione
di Alberto Cavaglion e una Nota di Marco Brunazzi.
Guido Fubini (1924-2010) è
stato avvocato, giurista, politico e giornalista. Ha fatto parte della
Commissione giuridica dell’Unione delle Comunità ebraiche
italiane per la stipula delle Intese tra lo Stato e l’UCEI.
Tra i fondatori della rivista «Ha Keillah», ha a lungo
diretto la «Rassegna mensile di Israel» e ha collaborato
a varie riviste giuridiche tra cui «Il Diritto ecclesiastico»;
tra i suoi lavori Israele-Palestina, una scelta diversa (con
V. Pegna e L. Visco Gilardi), Torino, 1970; La condizione giuridica
dell’ebraismo italiano, Torino, 1974; L’ultimo
treno per Cuneo: Pagine autobiografiche (1943-1945), Torino,
1991; Lungo viaggio attraverso il pregiudizio, Torino, 1996.
112 pp. - ISBN 9788871582290
- 18 Euro
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Bruno Taricco
Il ghetto delle Cherche.
Appunti per una storia della comunità ebraica di Carmagnola
Con questo libro Bruno Taricco continua la sua indagine
sulla storia degli ebrei in Piemonte: dopo Cherasco sono gli archivi
di Carmagnola a ridare la trama della presenza ebraica nella città,
dai primi documenti che risalgono agli anni dell’ultimo Medioevo
(nel 1467 un atto notarile vi attesta la residenza di un ebreo), all’ampliarsi
a più famiglie nel Cinquecento e nei secoli successivi. Alcuni
capitoli percorrono la storia della comunità: gli insediamenti
nel XVI secolo, il Seicento, il passaggio alla segregazione nel ghetto,
la svolta della prima emancipazione francese e la successiva entrata,
dopo il 1848, a pieno titolo nella vita del Regno, fino alla partecipazione
alla guerra del 1915-18 e al graduale esaurirsi della comunità
a Carmagnola – con le trasformazioni economiche e sociali da
un lato e lo sprofondare del Paese nelle leggi razziste del 1938,
nella Seconda guerra mondiale, nella deportazione degli ebrei e, dall’altro
lato, la loro partecipazione alla Resistenza. Parte essenziale del
volume è il ricco apparato documentario che sorregge sempre
la descrizione delle attività, strutture e dinamiche sociali
della comunità e fornisce un’ampia base di riferimento
per approfondimenti e confronti.
L’Appendice, a cura di Ilaria Curletti, riporta il testo delle
visite all’Università ebraica dei vescovi nel 1702 e
nel 1746.
Bruno Taricco docente di Italiano
e Latino, da oltre trent’anni è conservatore del museo
Adriani di Cherasco e da qualche anno fa parte del consiglio del CISIM
(Centro internazionale per gli studi sugli insediamenti medievali).
Si interessa di storia locale e in questo settore ha pubblicato alcuni
libri relativi soprattutto alle vicende cheraschesi – tra gli
altri Cherasco Urbs firmissima pacis, Cherasco medievale,
Cherasco barocca, Guida di Cherasco, Cronache
cheraschesi del secondo periodo francese (1796-1815) –
e verdunesi (Documenti e appunti per una storia di Verduno)
oltre a numerosi saggi. Ha approfondito la storia plurisecolare dell’insediamento
ebraico nella città in cui risiede con il volume Gli ebrei
di Cherasco, pubblicato dalla Silvio Zamorani nel 2010.
Sul libro:
Ticketless – Finestre
Dopo aver tratteggiato, in un precedente volume,
la ben diversa storia di Cherasco, Bruno Taricco si conferma adesso,
in questo suo lavoro (Il ghetto delle Cherche. Appunti per una storia
della comunità ebraica di Carmagnola, Zamorani, 2018), un ricercatore
ostinato, poco incline a ipotesi fantasiose. Molto simile ai personaggi
di cui narra la storia, sempre alle prese con la vita nella sua talora
aspra, ruvida concretezza. Altri costruirebbero castelli in aria,
Taricco riferisce ciò che ha trovato.
Le “finestre del ghetto”, già note attraverso la
storia della comunità astigiana e i lavori pionieristici di
Laura Voghera Luzzatto, o grazie alle pagine autobiografiche di Brofferio,
del ghetto di Torino visto dalle finestre limitrofe, pagine purtroppo
ancora oggi troppo poco conosciute perché poco accessibili
(I miei Tempi, Tip. Nazionale Biancardi, 1859).
Fra le interdizioni dell’antico regime, vi era la norma che
imponeva agli ebrei di bloccare le finestre che guardavano la strada
principale, con scuri di legno. Taricco con tono discorsivo, ma sempre
sorretto dai documenti, spiega la natura di queste strambe controversie,
la scelta ad un certo punto inevitabile di ribellarsi, compiuta da
Salvador Jona e Abram Laudi. Le autorità si affaticavano a
misurare la distanza tra gli edifici e le chiese. Quale fosse il massimo
consentito non è dato sapere, contava l’atto del misurare.
[....] Una vicenda surreale, che si ripete per altri nuclei famigliari.
Un capitolo drammatico nella storia delle “case degli ebrei”.
Sarebbe piaciuto al compianto Michele Luzzati, primo storico della
comunità carmagnolese, per una vita intera legatissimo alla
sua “petite patrie”.
Alberto Cavaglion
in “Moked”, Attualità 28/11/2018 moked.it/blog/2018/11/28/ticketless-finestre/
15 x 21 cm - 536 pp. - 80
illustrazioni nel testoISBN 9788871582269 - 42,00 Euro
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Marco Francesco Dolermo
Il sionista che amava l’islam:
Raffaele Ottolenghi (1860-1917)
Prefazione di Alberto Cavaglion
Il volume è dedicato alla figura di Raffaele Ottolenghi,
intellettuale ebreo nato nella seconda metà del XIX secolo
e morto nel 1917 all’età di cinquantasette anni. Appartenente
a un’importante famiglia di Acqui Terme, figlio del rabbino
Bonajut – che si era salvato a stento dall’assalto al
ghetto della città del 23 e 24 aprile 1848 –, avvocato,
intraprese la carriera diplomatica; fu filantropo, militante politico,
studioso della cultura e della religione orientale. Aderì
al Partito Socialista, di cui divenne attivo esponente, collaborando
a riviste e giornali tra cui «Critica Sociale» e «l’Avanti!».
In seguito al suo soggiorno al Cairo acquisì una profonda
conoscenzare dei problemi africani ed asiatici; unì agli
interessi politico-storici quelli filososofici e religiosi che trattò
in molti scritti, tra i quali l’opera più importante:
i tre volumi di Voci d’Oriente. Collaborò
a molte riviste culturali, da «Coenobium» al «Vessillo
israelitico», a «Israel», alla «Nuova Antologia
di Lettere, Scienze ed Arti», «Bilychnis» e molte
altre. Sviluppò una riflessione personale in una forma di
sionismo spirituale e, avverso ai simboli e al linguaggio del potere,
critico nei confronti del progetto statuale in Palestina di Theodor
Herzl, ritenne che l’esistenza di Israele non potesse essere
disgiunta dalla presenza mussulmana che da secoli intrecciava la
propria cultura con quella ebraica.
Nel libro di Marco Dolermo, che riporta un’analisi molto ampia
della vita e delle opere di Ottolenghi – con i suoi scambi
con importanti studiosi: in modo particolare Paolo Orano, con cui
ebbe una lunga polemica culturale –, sono ripubblicati alcuni
scritti significativi di difficile reperibilità, assieme
a un’ampia collazione delle sue pubblicazioni.
Marco Francesco Dolermo, autore de La costruzione
dell'odio. Ebrei, contadini e diocesi di Acqui dall’istituzione
del ghetto del 1731 alle violenze del 1799 e del 1848, Torino,
Zamorani, 2005, insegna materie letterarie presso il liceo Giovanni
Parodi di Acqui Terme. Ha conseguito all’università
di Torino il dottorato di ricerca in storia moderna con la tesi
“Modelli di mercato matrimoniale. Il caso degli ebrei piemontesi
(secc. XVIII-XIX)”; da essa è stato tratto Il viaggio
della sposa: il decreto di Emanuele Filiberto del 1572 e il mercato
matrimoniale ebraico nel Piemonte d’Ancien Régime,
pubblicato nel volume collettaneo curato da Marina Romani e Elisabetta
Traniello, Gli ebrei nell’Italia centro settentrionale
fra tardo Medioevo ed età moderna (secoli XV-XVIII),
Cheiron, 57-58, Roma, Bulzoni editore, 2012.
15 x 21 cm - 271 pp., con 9 illustrazioni
nel testo - ISBN 9788871582214 - 32,00 Euro
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Silvana Calvo
L’informazione rifiutata
La Svizzera dal 1938 al
1945 di fronte al nazismo e alle notizie del genocidio degli ebrei
Nell'estate del 1942 su molti giornali
svizzeri si poteva leggere che il numero degli ebrei uccisi dai nazisti
fino a quel momento aveva raggiunto il milione. La Dichiarazione
congiunta anglo-russo-americana, apparsa in dicembre, parlava
ormai chiaramente di sterminio e accusava i tedeschi di aver trasformato
la Polonia in un mattatoio. A partire dal 1943 i dispacci d’agenzia
scrivevano di 2 milioni, 3 milioni, 4 milioni, fino a 5 milioni di
ebrei uccisi. Non solo lo sterminio, ma anche le notizie sulla deportazioni,
sui ghetti, sulle esecuzioni per rappresaglia, insomma su ogni aspetto
del dramma che si stava consumando a non grande distanza, riuscivano
a raggiungere la Svizzera, grazie anche alla sua posizione di paese
neutrale.
L’informazione sul genocidio non fu uniforme: il notiziario
radiofonico, il cinegiornale, la stampa e l’esercito la gestirono
in modo differente e articolato; chi con intransigente reticenza,
chi facendo filtrare il massimo possibile di notizie nonostante le
continue raccomandazioni del governo e le imposizioni della censura.
Questo, tra l’altro, in un quadro in continuo mutamento a seconda
di come evolveva il conflitto e dei rapporti di forza tra i diversi
schieramenti nella Confederazione, ossia tra chi pensava che si dovesse
scendere a patti con i tedeschi e chi invece metteva al primo posto
la difesa della sovranità nazionale.
Le notizie sullo sterminio degli ebrei circolavano dunque ampiamente
e in tempo reale, grazie anche a personalità ebraiche come
Benjamin Sagalowitz e Gerhart Riegner, a un pastore evangelico come
Paul Vogt o a un giornalista socialista come Otto Pünter. Malgrado
la censura, giornali quali ad esempio «Libera Stampa»
di Lugano riuscivano non solo a dare un’informazione puntuale,
ma anche a presentare i fatti in modo da contrastare efficacemente
la diffusa tendenza dei lettori a non voler vedere quanto pure avevano
sotto i loro occhi.
Silvana Calvo si occupa di razzismo
e antisemitismo nel Novecento e in particolare di Shoah, della situazione
degli ebrei in Svizzera e di stampa ed antisemitismo; ha pubblicato:
1938 Anno infame, Antisemitismo e profughi nella stampa ticinese,
Bologna, 2005; A un passo dalla salvezza. La politica svizzera
di respingimento degli ebrei durante le persecuzioni 1933-1945,
Torino 2010, con cui ha vinto il Premio Internazionale Vittorio Foa
2014 della Città di Formia.
15 x 21 cm - pp. 360 - 28
illustrazioni nel testo - ISBN 9788871582221 - 38,00 Euro
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Francesco Forte - Alberto
Cavaglion
Cesare Jarach (1884-1916)
Un economista ebreo nella
Grande Guerra
Con un testo di Luigi Einaudi
Nel libro un saggio di Francesco Forte analizza il
lavoro scientifico di Cesare Jarach come economista: brillante allievo
di Luigi Einaudi, impegnato in ricerche innovative e ancora oggi di
grande interesse; Alberto Cavaglion traccia invece un ritratto di
Jarach come intellettuale ebreo italiano nel suo impegno civile di
partecipazione alla vita dello Stato - fino alle posizioni di interventismo
liberale, di stampo risorgimentale e diretto risultato di un pensiero
largamente diffuso nell'ebraismo italiano dei decenni post-unitari
di fare parte di un corpo statale unito e non frazionabile sulla base
dell’identità religiosa.
Cesare Lazzaro Samuele Jarach (Casale
Monferrato 1884 - Palchisce sul Carso 1916), si laureò sotto
la guida di Luigi Einaudi e divenne giovanissimo delegato tecnico
della commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni
di vita contadine nel Mezzogiorno, occupandosi degli Abruzzi. Nell’ambito
di quell’incarico produsse uno studio considerato, per la sua
profondità, l’intelligenza metodologica con cui fu condotto
e la precisione dell’analisi, un lavoro pionieristico e tuttora
un riferimento indispensabile per lo studio della società abruzzese
e in generale per la storia migratoria dell’Italia meridionale.
Saggista, ricercatore e teorico dell’economia e della finanza,
in quanto esperto di problematiche dell’emigrazione, divenne
nel 1911 ispettore del commissariato per l’emigrazione a Roma
e nel 1913 passò a dirigere l’ “ufficio di emigrazione
per gli uffici di terra” in Milano. Contemporaneamente collaborò
al giornale «L’azione», espressione del circolo
di giovani studiosi interventisti di ispirazione liberale e di matrice
mazziniano-risorgimentale guidato da Alberto Caroncini. Coerente con
queste posizioni si presentò volontario per il fronte e cadde
nei primi giorni del novembre 1916.
«Cesare Jarach […] appartenne alla
schiera, la quale va purtroppo facendosi sempre più rara in
Italia, dei funzionari i quali onorano l’ufficio coperto con
la austerità nell’adempimento del proprio dovere e con
la coscienza che a questo non si soddisfa se non si entra nell’arringo
con una solida preparazione scientifica e se questa non si affina
ognora più. […] Fu scrittore di cose teoriche, in economia
e finanza, sobrio, acuto, elegante. Ai suoi saggi […] si ritorna
volentieri colla mente, come quelli che sono il frutto di una meditazione
personale accurata, che spoglia la trattazione di ogni elemento estraneo
superfluo e riduce il problema ai suoi dati essenziali ed alle sue
conclusioni logiche più semplici. Nel che si riscontra il vero
abito dello studioso».
Luigi Einaudi
«Egli era un “economista appassionato”,
con un senso di missione di duplice, connessa natura: la battaglia
per le idee dell’economia di mercato libera, basata su principi
fiscali e monetari di economia pubblica, ai fini dello sviluppo economico
e umano; la battaglia per l’interesse nazionale […]. Il
suo volume sulle condizioni dei contadini dell’Abruzzo e Molise
[…] è un lavoro di grande importanza. Esso mette in luce
la statura di Cesare Jarach, studioso di economia dotato di una
visione storica, sociologica, politica, istituzionale di grande respiro».
Francesco Forte
«Non era ancora docente universitario
Cesare Jarach, ma destinato certo a diventarlo […]. Se si prendono
in esame i suoi scritti, se si studiano le sue relazioni culturali,
i suoi primi, promettenti passi accademici è difficile non
prevedere per lui un brillante avvenire di studio. Apparteneva alla
piccola comunità ebraica di Casale: una comunità che,
al pari di altre realtà piemontesi, conservava memorie di patriottismo
e di adesione agli ideali risorgimentali molto significative. […]
Fino alla Grande Guerra il cosiddetto “diritto alla diversità”,
oggi giustamente rivendicato a gran voce, a quel tempo non esisteva
o meglio non era considerato una virtù democratica, ma un disvalore.
Gli ebrei italiani che decidevano di arruolarsi volontari come Jarach
pensavano di fare parte di un corpo statale unito e non frazionabile
sulla base dell’identità religiosa».
Alberto Cavaglion
Nel volume:
Alberi genealogici
Prefazione Manuel Disegni
Immagini e documenti di famiglia
Jarach economista Francesco Forte
La serenità di Viridis. Cesare Jarach e la partecipazione
ebraica alla Grande Guerra Alberto Cavaglion
Epilogo
15 x 21 cm - 96 pp. con 42 illustrazioni
- ISBN 9788871582238 - 10,00 Euro
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L’apporto degli ebrei
all’assistenza sanitaria sul fronte della Grande Guerra
Atti del Convegno Trieste, 8 maggio
2016
a cura di Rosanna Supino - Daniela Roccas
L’apporto ebraico alla sanità nell’esercito
italiano nella Prima Guerra Mondiale è esaminato nei suoi vari
aspetti: da quelli quantitativi e di distribuzione nei gradi e nelle
funzioni dell’esercito, alla presenza di medici di grande valore
(tra gli altri Alessandro Lustig, Giuseppe Levi, Guido Aronne Mendes,
Enrico Modigliani, Marco Levi Bianchini), alla partecipazione di molti
ebrei come volontari nell’esercito italiano. Contemporaneamente
altri ebrei (tra loro i triestini Edoardo Weiss e Giulio Ascoli) si
trovarono ad operare sul fronte austro-ungarico come sudditi dell’impero,
vivendo complesse e drammatiche vicende di appartenenza, di richiami
all’irredentismo e di adesione al sionismo.
Viene approfondita la riflessione sulla posizione dell’ebraismo
italiano dopo l’emancipazione ottocentesca nella vita del Paese
in quel momento così grave, mentre alcuni degli autori ricordano
le innovazioni scientifiche apportate durante il conflitto. Grandi
progressi infatti si ebbero ad opera di medici militari ebrei nella
chirurgia, nella cura delle malattie infettive (come la TBC) e delle
psicopatologie di origine bellica, degli effetti di gas nervini, delle
patologie da congelamento, mentre divenivano pratica comune le vaccinazioni
di massa contro tifo, colera e difterite e fu messo a punto un apparecchio
a raggi X portatile. Nel libro si ricorda anche l’impegno nella
didattica sanitaria (molti furono attivi anche nell’insegnamento
sul campo e nell’università castrense di San Giorgio
di Nogaro).
Non mancano dati e riflessioni sull’analoga esperienza in quegli
anni dell’ebraismo francese al fronte e l’analisi della
presenza femminile, soprattutto nell’ambito dell’assistenza
infermieristica, oltre che della partecipazione del rabbinato per
quella religiosa e spirituale.
Il libro raccoglie gli atti del convegno svoltosi a Trieste l’8
maggio 2016, accompagnati da un ampio apparato illustrativo. Chiude
il volume un elenco di medici, paramedici e infermiere, oltre a militari
in sanità e rabbini, che si sono impegnati sul fronte italiano
durante la Grande Guerra.
Dall'indice:
Presentazione del Convegno Giorgio Mortara
Introduzione Rosanna Supino
Note all’Elenco di militari ebrei in sanità in Italia
nella Grande Guerra” Daniela Roccas e Rosanna Supino
La posizione degli ebrei dell’Italia unita nella Prima Guerra
Mondiale Maddalena Del Bianco Cotrozzi
La partecipazione militare degli ebrei italiani alla Grande Guerra
con particolare riguardo ai medici e sanitari Pierluigi Briganti
L’assistenza sanitaria e religiosa ebraica sul fronte italiano
1915-1918 Giovanni Cecini
Ebrei nella “Santé Militaire de l’Armée
Française”: fra “Union sacrée” e affermazione
identitaria Andrea Finzi
Medici ebrei triestini fra lealismo all’Austria e irredentismo
Matteo Perissinotto
Famiglie e comunità divise da ideologie di appartenenza
nazionale e l’amaro epilogo per tutti Mauro Tabor
Il personale sanitario militare di religione ebraica nella Guerra
1915-18: ricerca delle persone, collocazione sul territorio e mansioni
Daniela Roccas
La mobilitazione del sapere medico-criminologico dal pacifismo
di Cesare Lombroso alla svolta interventista Pierpaolo Martucci
Forti come un uomo. Due esemplari figure di crocerossine ebree
friulane: Adele e Fanny Luzzatto Valerio Marchi
Edoardo Weiss psichiatra al fronte: la psicopatologia bellica
nelle cartelle cliniche del manicomio di Trieste Rita Corsa
Elenco di militari ebrei in sanità e rabbini in Italia
durante la Grande Guerra Daniela Roccas e Rosanna Supino
I militari medici, paramedici e infermiere di religione ebraica
durante la Grande Guerra in Italia
Gli autori: contributi di Pierluigi Briganti, Giovanni
Cecini, Rita Corsa, Maddalena Del Bianco Cotrozzi, Andrea Finzi, Valerio
Marchi, Pierpaolo Martucci, Matteo Perissinotto, Daniela Roccas, Rosanna
Supino, Mauro Tabor.
15 x 21 cm - 192 pp. con 53 illustrazioni
- ISBN 9788871582252 - 28,00 Euro
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Michele Sarfatti
Mussolini contro gli ebrei.
Cronaca dell’elaborazione delle
leggi del 1938. Nuova edizione ampliata
Questo libro documenta e interpreta le prese di posizione antiebraiche
di Mussolini nel corso del 1938 e ricostruisce come egli giunse
a definire la legislazione persecutoria varata in settembre-novembre
dal governo fascista col consenso del re. L’analisi delle
numerose testimonianze documentarie consente di chiarire vari nodi
problematici rimasti finora irrisolti o celati, di evidenziare gli
ampi spazi di originalità e radicalità che contrassegnarono
l’operato antiebraico di Mussolini, di misurare la profondità
della ferita da lui inferta agli ebrei e a tutto il paese. La prima
edizione di questo studio è stata pubblicata nel 1994. Essa
contribuì a creare una nuova consapevolezza tra gli studiosi
e nell’insieme della società, interessata a conoscere
e comprendere quella importante pagina del passato. Questa nuova
edizione ampliata, mentre conferma l’impianto della prima,
contiene numerosi arricchimenti documentari e un generale aggiornamento
del testo, che ne rafforzano l’attualità.
Sono stati aggiunti, tra l’altro:
p. 7 Nuova introduzione, con indicazione delle motivazioni storiografiche
del libro.
p. 22 “La negazione dell’intenzione”, che illustra
come nel 1936-1937 il governo negò pervicacemente, all’estero,
il precipitare della situazione.
p. 28 “Informazione diplomatica” n.14 del 16 febbraio
1938 prima stesura autografa.
p. 30 “Il fascismo e i problemi della razza” del 14 luglio
1938 prima stesura dattiloscritta.
p. 35 Comunicato del PNF del 25 luglio 1938 precisazione che i firmatari
furono 10 e non 300.
p. 39 Articolo “Razza e percentuale” di inizio agosto
1938.
p. 44 Accordo con la Santa Sede del 16-17 agosto prima bozza autografa
di Tacchi Venturi.
p. 55 Articolo “Attenti ai mali passi” del 7 settembre1938.
p. 57 Discorso di Trieste del 18 settembre 1938 ipotesi sui destinatari
della polemica di Mussolini sulle “troppe cattedre”.
p. 65 “Informazione diplomatica” n. 23 del 12 ottobre
1938 prima stesura autografa.
p. 73 Decreti antiebraici del 7-10 novembre 1938 segnalazione del
primo articolo del primo libro del nuovo codice civile.
p. 94 Riepilogo dei provvedimenti febbraio-settembre 1938 segnalazione
delle direttive orali di fine giugno.
Alcune riproduzioni di documenti poco conosciuti:
p. 211 lo Schema di definizione razziale delle persone aventi
un solo ascendente di “razza ariana” e tutti gli altri
di “razza ebraica” dall’Archivio Storico della
Città di Torino – riprodotto a colori in copertina per
la sua particolare importanza di documento che attesta come nel 1938
il razzismo antisemita fosse tranquillamente divenuto prassi operativa
quotidiana.
pp. 212-15 4 fogli della Direzione generale per la demografia e la
razza di schemi di classificazione di “ebreo” e “italiano”
sulla base degli ascendenti dell’autunno 1938, manoscritti,
conservati a Roma nell’Archivio centrale dello Stato.
Michele Sarfatti ha pubblicato tra l’altro
Gaddo e gli altri “svizzeri”. Storie della Resistenza
in valle d’Aosta (Aosta, 1981); La nascita del moderno
pacifismo democratico ed il “Congrès international de
la paix” di Ginevra nel 1867 (Milano, 1983); Le leggi
antiebraiche spiegate agli italiani di oggi (Torino, 2002); Gli
ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione
(nuova edizione Torino, 2007). Con Anna Sarfatti, L’albero
della memoria. La Shoah raccontata ai bambini (Milano, 2013).
Dalla recensione di Giorgio Fabre, La lunga rincorsa di Mussolini
antisemita, «Il Manifesto», 08.10.2017 :
«Nel maggio 1994 Michele Sarfatti pubblicava da Zamorani,
editore specializzato in storia della persecuzione antiebraica,
la prima edizione di Mussolini contro gli ebrei. Renzo De Felice
era già malato, ma ancora attivo e dirigeva la sua rivista,
«Storia contemporanea». E molto incisivo era lo stuolo
dei suoi allievi, esponenti dell’establishment accademico
e collaboratori di vari giornali. Mussolini contro gli ebrei metteva
profondamente in crisi, soprattutto grazie alla precisione e all’incontestabilità
della documentazione, le tesi dello storico del fascismo, in particolare
la sua Storia degli ebrei. Era una svolta in questo campo, anche
di metodo. [...] Il risultato della seconda edizione è la
dimostrazione – ancor più forte di quanto si sapesse
o si potesse intuire – dell’impegno antisemita di Mussolini:
che, come è noto, era un lavoratore indefesso e veloce, ma
fu davvero impressionante per l’attenzione e la cura con cui
predispose il terreno e poi preparò le nuove leggi contro
gli ebrei. [...] Il libro di Michele Sarfatti continua a restare
un piccolo capolavoro della storiografia del Novecento, in una materia
difficile e ancora controversa come quella delle leggi razziali.
Oggi, questo campo storiografico è diventato un campo di
battaglia, soprattutto per le lotte e per le carriere accademiche,
e la qualità della ricerca è andata in caduta libera.
È naturale che quel libro sia ancora, per molti aspetti,
un modello».
Dalla recensione di Mario Avagliano su Moked ( si legge all'indirizzo
http://moked.it/blog/2017/10/24/storie-mussolini-gli-ebrei/ ): "Quando
nel 1994 uscì la prima edizione di Mussolini contro gli ebrei
di Michele Sarfatti, lo studio contribuì a chiarire in modo
esplicito i diversi passaggi attraverso i quali il capo del fascismo
aveva tradotto in tragica realtà il suo esplicito intento
persecutorio nei confronti degli ebrei, creando una nuova consapevolezza
tra gli studiosi e nella società italiana. Esce ora, sempre
per i tipi della Zamorani, la seconda edizione ampliata di quel
libro (221 pagine, euro 28), che documenta e interpreta le prese
di posizioni antiebraiche di Mussolini nel corso del 1938 e ricostruisce
come egli giunse a definire la legislazione razzista varata tra
il settembre e il novembre di quell’anno dal governo fascista
con il consenso (e la firma) del re. Il saggio di Sarfatti, che
si avvale di nuovi documenti e approfondimenti, è fondamentale
per comprendere l’originalità della normativa razzista
italiana, che non fu affatto eterodiretta dai tedeschi, ma che ebbe
una sua specificità nazionale e anche una vasta base di consenso
popolare."
15 x 21 cm - 221 pp. con 13 illustrazioni - ISBN 9788871582184
- 28,00 Euro
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Contesti
Rivista di microstoria
Periodico semestrale
ISSN 2284-1954
Formata da un gruppo di storici per lo più
giovani, «Contesti» si propone come un esperimento, un
tentativo di cogliere la complessità attraverso un’analisi
in profondità delle relazioni e degli scambi, spesso nascosti,
fra uomini e fra istituzioni. La sua finalità è la ricostruzione
di specifici contesti, non necessariamente caratterizzati dalla condivisione
di uno spazio definito, ma definiti dalle connessioni, esplicite o
sotterranee, di cui si può provare la pertinenza. Ispirata
ai metodi della microstoria, «Contesti» intende indagare
i fenomeni sociali come esito dell’interazione continua fra
scelte personali e strategie politiche, meccanismi economici e circolazione
di idee, sistemi culturali e comportamenti individuali. Aperta ai
contributi di ogni disciplina, presenta in ogni numero, a cadenza
semestrale un corpo di ricerche di prima mano, dedicate a casi di
studio che spaziano tanto nel tempo quanto sotto il profilo geografico;
una intervista a studiosi che hanno innovato i paradigmi dei loro
rispettivi campi di studio; una sezione di discussioni incentrate
su un’opera letteraria o cinematografica, o un saggio, che ha
scandagliato nuove possibilità d’analisi della realtà
sociale.
Created by a group of historians, Contesti
is an attempt to better understand social complexity through the analysis
of the oft-hidden relationships and exchanges among people, social
groups and institutions. In order to address our aim, the journal
aims to reconstitute contextual analyses as defined through explicit
and implicit relationships whose relevance can be established. Inspired
by micro-history, Contesti intends to investigate the nature
and the transformation of social phenomena by putting the accent on
the continual interaction between personal choices and political strategies,
between economic mechanisms and the circulation of ideas, as well
as between cultural systems and individual behavior. The review is
open to contributions from all disciplines and is made up of three
sections: original research, interviews with researchers, and discussions
of literature, cinema and essays. Contesti is published twice
a year.
Ai nostri lettori Al pari
delle altre scienze umane, la storia ha perduto da tempo molte delle
sicurezze che ne avevano accompagnato il cammino. Di conseguenza,
ha visto diminuire la propria capacità di rispondere alle nuove
domande che lo scorrere del tempo pone al passato dell’uomo.
È come se fosse rimasta attonita di fronte all’impetuosa
trasformazione dello scenario in cui viviamo da qualche decennio.
La fine del comunismo, la crisi dello stato-nazione, il presunto tramonto
delle ideologie, la globalizzazione, il relativismo culturale hanno
messo in crisi le tradizionali gerarchie di rilevanza dello storico,
e soprattutto dello storico occidentale. Il quale, oggi, sembra rimanere
incerto fra due posizioni, tanto divergenti fra loro quanto sterili.
Quella di chi, confondendo ciò che è successo nel passato
con le immagini e le conoscenze di ciò che è successo,
è rimasto intrappolato nelle sabbie mobili del postmodernismo,
finendo così col legittimare qualsiasi memoria parziale e sovrapporre
storia e fiction. E quella di chi, disorientato dalla comparsa
sulla scena di nuovi attori che rivendicano un loro spazio e pongono
domande nuove, si è rifugiato nell’ortodossia d’antan,
replicando, magari in forme sempre più raffinate, modelli e
procedure di analisi rassicuranti e tradizionali. Sembra dunque di
essere immersi nello stadio finale di una delle fasi cicliche della
storia della scienza: quella in cui, come ci ha insegnato Thomas Kuhn,
si studiano tutte le possibili strade per accordare i paradigmi alla
realtà, ma lo si fa in modo sempre più calligrafico.
La sensazione è dunque che si continuino quasi meccanicamente
ad applicare paradigmi formulati in tutt’altro contesto per
rispondere a tutt’altre domande. Così facendo, però,
si rischia tra l’altro di incorrere nel peggiore dei difetti
della storia: l’anacronismo.
Per uscire dallo stallo, non basta certo eleggere la World History
come terreno di studio privilegiato e «nuovo», perché
l’allargamento della scala non fa automaticamente uscire la
storia dalle secche delle generalizzazioni banali e decontestualizzate.
Né serve a molto interrogarci sulla congruenza o sulle anomalie
dei metodi ereditati dal passato, come si fa di norma quando i paradigmi
cominciano ad apparire inadeguati. Semmai, dovremmo interrogarci sulla
congruenza e l’anomalia delle domande che ci poniamo oggi, perché
l’attuale crisi della storia sembra scaturire proprio dalla
loro natura. Per questo motivo, anziché continuare a produrre
rinfrancanti conferme della bontà dello statuto e delle procedure
storiografiche vigenti, ci pare più opportuno intraprendere
la via della sperimentazione, provando a porre nuovi interrogativi.
È proprio questo il compito che ci proponiamo. L’idea
di questa rivista non nasce dalla presunzione di indicare paradigmi
inediti, ma dalla convinzione che sia indispensabile, oggi, sperimentare
percorsi e metodi diversi da quelli consolidati. Ma, soprattutto,
porsi altre domande. Non intendiamo tuttavia fare della sperimentazione
per la sperimentazione: ovvero proporre una sorta di dadaismo storiografico.
Il nostro punto di partenza si ispira piuttosto a una nozione non
certo nuova nella ricerca storica: quella di contesto, avanzata con
forza qualche decennio fa da Edward Palmer Thompson e poi ripresa
negli studi di microstoria.
Invece che semplice cornice o sfondo nel quale collocare gli eventi,
il contesto fu allora immaginato come un «luogo» non necessariamente
fisico, ma principalmente relazionale: come un campo di possibilità
di comunicazione e di scambio fra individui. Il contesto non era dunque
dato, ma si profilava come una costruzione dello storico, come lo
stesso Thompson aveva magistralmente indicato in Whigs and hunters,
dimostrando la stretta correlazione fra il bracconaggio nelle foreste
del Berkshire e dello Hampshire e l’emanazione nel 1723 del
‘Black Act’, una legge che comminando punizioni draconiane
a difesa della proprietà privata inaugurava in pratica il passaggio
dell’Inghilterra a una società capitalistica. Questo
è esattamente il punto di partenza di questa rivista: riflettere
sistematicamente sulla pertinenza dei contesti scelti per spiegare
i fenomeni politici, sociali, economici e culturali. E dunque cercare
di individuare le connessioni, esplicite o sotterranee, fra persone,
fenomeni, istituzioni, indipendentemente dalla loro condivisione di
uno spazio definito. Ci ripromettiamo in altri termini di indagare
sulla multiforme natura dello scambio sociale, senza presupporre l’esistenza
di gerarchie aprioristiche quali alto-basso, centro-periferia, locale-globale.
Avviarsi in questa direzione comporta il recupero delle discussioni
e delle pratiche, per noi fondamentali, della microstoria. Condividiamo
infatti fino in fondo la consapevolezza che lo storico, dovendo dare
risposte generali a partire dall’analisi di situazioni specifiche,
debba mirare a cogliere la complessità dell’esperienza
umana mediante un approccio «denso», senza per questo
rinchiudersi nella dimensione del villaggio evocata da Clifford Geertz
e, soprattutto, senza rinchiudersi negli steccati disciplinari.
Nel panorama ideologico attuale, fatto di generalizzazioni solo apparentemente
deboli, questo compito ha anche una valenza politica. La forza del
paradigma unico entro il quale il senso comune attuale pensa il mondo,
spesso senza saperlo, consiste nel fatto che tutto – presente,
passato, futuro – sembra potersi spiegare attraverso la lente
di un mercato – come realtà economica e come metafora
culturale – privo di attori e ricco di comparse che obbediscono
tutte a una logica unica e senza tempo. Solo le magnifiche sorti e
progressive del mercato e del capitalismo costituiscono l’ambito
all’interno del quale comportamenti individuali e trasformazioni
sociali vanno misurati, valutati, studiati. Ne risulta una sorta di
impasse cognitiva che impedisce di pensare al di fuori di
questo quadro; e quindi di proporre altri percorsi che permettano
non solo di considerare lo stato attuale delle cose come uno stato
transitorio, qual è, ma anche di mostrare la complessità
della vicenda umana come un campo di infinite possibilità che
prefigurano futuri diversi.
La rivista riposa su una convinzione ottimista: che la storia e gli
storici possano riconquistare un posto centrale nello spazio intellettuale
in cui si forma e si diffonde un sapere critico, proponendo le loro
competenze non solo e non tanto in termini di semplici «critici
delle fonti», di eruditi ferrati nel rintracciare la manipolazione
dell’informazione presente e passata, o di commentatori dell’inevitabilità
del presente, ma offrendo una visione del passato prossimo e remoto
che provi a rispondere alla complessità delle domande poste
dal presente con la complessità della ricostruzione di contesti
possibili. La redazione
Dall’indice del primo numero
(2014, 1):
Anna Beltrami, «Il negotio della donna
inspiritata». Una congiura politica nel Piemonte del Seicento
Luciano Allegra, Le trappole della statistica. Una stima dei poveri
in antico regime
Cinzia Bonato, La circolazione dell’informazione nel XVIII
secolo e il successo della legge genovese sui parti illegittimi
Giorgia Beltramo, La libertà dalla memoria. Il negazionismo
del Journal of Historical Review
Interviste:
Per una storia sociale dell’arte: bilanci, esperienze, prospettive.
Intervista a Enrico Castelnuovo, a cura di Alessandra Giovannini Luca
e Alice Pierobon
Discussioni:
Isa Mascolo, Lincoln di Steven Spielberg. L’uomo, gli uomini,
la storia
Lia Viola, Epidemie locali e morali d’oltre oceano. Riflessioni
a partire da un libro di Helen Epstein
Francesco Vietti, Il contesto etnografico transnazionale: potenzialità
e limiti della ricerca multisituata sulle migrazioni contemporanee
Dall’indice del secondo numero
(2014, 2):
Introduzione
Saggi:
Renata Ciaccio Dopo le stragi. La difesa dell’identità
sociale dei calabro-valdesi fra Cinque e Seicento
Fulvia Grandizio La negoziazione dello spazio. Storia di un monastero
tra Ottocento e Novecento
Davide Tabor Politica e networks. Comunicazione politica e relazioni
personali in Italia tra ’800 e ’900
Interviste:
Sulla storia. Intervista con Giovanni Levi a cura di Cinzia
Bonato
Discussioni:
Luciano Allegra La formula magica della storia ebraica
Ida Fazio Tempi, spazi, contesti: la storia della famiglia negli
anni Dieci del XXI secolo
Barbara Mann Casa interrotta. Spazio e memoria nella trilogia
sulla casa di Amos Gitai
Dall’indice del terzo numero (2015,
3):
Introduzione
Saggi:
Marco Bettassa «Voglio andar in Paradiso e farmi catolico».
Conversioni valdesi
Salvatore Speziale La guerra dei saperi nell’Africa mediterranea
tra la Grande epidemia e l’agonia della peste (fine XVIII-inizi
XIX secolo)
Elisa Magalì Tonda Un’insolita sfilata di travetteria.
Il mondo di un impiegato di metà Ottocento
Interviste:
Il cinema, la storia e la testimonianza. Intervista a Marco Bechis
a cura di Davide Tabor
Discussioni:
Gadi Luzzatto Voghera Una casa nel ghetto
Samira Salimi Teheran, città di bugie?
Dall’indice del quarto numero (2015,
4):
Introduzione
Saggi:
Marta Angela Maria Fabio La seta compra il grano. La sussistenza
in una comunità siciliana nel Settecento
Massimiliano Franco Una stagione all’inferno: delinquenti,
spostati, barabba. Una forma di devianza di fine Ottocento
Davide Pellegrino Sotto il segno del notabilato. Il radicamento
territoriale della Democrazia Cristiana in Salento nel dopoguerra
Interviste:
Parole, persone, incontri e luoghi: il giornalismo tra esperienza
e rac-conto. Intervista a Domenico Quirico a cura di Davide Tabor
Discussioni:
Luciano Allegra Non tutto è perduto
Alessandra Giovannini Luca La vita delle fotografie. In margine
al catalogo della mostra “Regards sur les ghettos”
Dall’indice del quinto numero (2016,
5):
Introduzione
Saggi:
Meital Shai Villa Grimani Molin Avezzù at Fratta Polesine.
A research course towards its architectural and pictorial attribution
Luciano Allegra Un caso di epidemiologia storica. Torino nel Settecento
Ilaria Giacalone«Three or four families in a country village»:
Jane Austen, dal network al romanzo
Interviste:
Ricostruire i fatti: il mestiere di giudice e il rapporto con
la storia Intervista a Gherardo Colombo a cura di Davide Tabor
Discussioni:
Cinzia Bonato La storia dell’assistenza ritorna alle origini?
Emanuele Fantini La guerra in fuoristrada. Sul racconto degli
interventi umanitari nel film "A perfect day"
Direttore: Davide Tabor
Comitato di redazione: Daniela Adorni, Luciano Allegra,
Cinzia Bonato, Monica Martinat, Davide Tabor
Segreteria di redazione: Cinzia Bonato
Comitato scientifico
Jean-Louis Briquet – Université Paris 1
Panthéon-Sorbonne
Ida Fazio – Università di Palermo
Carlo Ginzburg – Scuola Normale Superiore Pisa
Giovanni Levi – Università di Venezia
Vanessa Maher – Università di Verona
Cecilia Pennacini – Università di Torino
Edward Muir – Northwestern University
Guido Ruggiero – University of Miami
Francesca Trivellato – Yale University
Primo numero aprile 2014 15 x 21 cm - 208 pp. - ISBN
9788871582078
Secondo numero novembre 2014 15 x 21 cm - 200 pp. - ISBN 9788871582085
Terzo numero luglio 2015 15 x 21 cm - 229 pp. - ISBN 9788871582108
Quarto numero dicembre 2015 15 x 21 cm - 192 pp. - ISBN 9788871582160
Quinto numero giugno 2016 15 x 21 cm - 226 pp. - ISBN 9788871582191
Fascicolo singolo:
Italia: € 25,00
(privati)
€
30,00 (istituzioni)
Estero: € 32,00 (privati)
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38,00 (istituzioni)
Abbonamento annuo:
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- messaggio di posta elettronica a info@zamorani.com
Verranno indicati nella risposta i dati bancari del conto per il relativo
pagamento.
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Luciano
Allegra
Identità
in bilico
Il
ghetto ebraico di Torino nel Settecento
«Rabbino
Salomone, io sono ebreo, ebreo vivrò e ebreo morirò...
Venite per pietà... non voglio farmi cristiano» (lettera
scritta da Abramo Diena, rinchiuso nell’Ospizio dei catecumeni,
1767).
Questo
libro parla di ebrei, di quei pochi che uscirono o furono costretti
ad uscire dal ghetto e dei più che vi rimasero. L’autore
delinea le traiettorie che condussero alla perdita dell’identità
religiosa per alcuni (dalle spinte alla conversione, ai battesimi
forzati, all’istituzione dell’Ospizio dei catecumeni)
e ricostruisce i meccanismi di coesione che reggevano l’assetto
comunitario, tenendone insieme i membri (trasmissione dei patrimoni
attraverso doti ed eredità, gestione dei banchi, consumi e
distribuzione della ricchezza ecc.). Le appendici raccolgono una notevole
mole di dati sulla composizione dei patrimoni (beni di consumo, vestiario,
libri) e un glossario dei termini dialettali.
Luciano
Allegra insegna Storia Moderna alla Facoltà di Lettere
dell’Università di Torino. Per l’editore Zamorani
ha pubblicato i saggiLa ketubbah: ricchezza e limiti di una fonte
e La famiglia ebraica torinese nell’Ottocento: le spie di
una integrazione sociale nel volume Il matrimonio ebraico.
Le ketubbot dell’Archivio Terracini, a cura di Micaela
Vitale (1997), e Gli aguzzini di Mimo. Storie di ordinario collaborazionismo
(1943-45) (2010). Ha curato Una lunga presenza.
Studi sulla popolazione ebraica italiana (2006).
15
x 21 cm - 344 pp. - ISBN 88-7158-050-8 - Euro 28,00
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Luciano
Allegra (a cura di)
Una
lunga presenza
Studi
sulla popolazione ebraica italiana
Gli
studi qui raccolti sono nati all’interno di un progetto di individuazione
e catalogazione delle fonti demografiche relative agli insediamenti
ebraici in Italia. La presenza degli ebrei nella penisola, costante
da più di duemila anni, ha lasciato molte testimonianze, tanto
artistiche quanto documentarie: una disseminazione di tracce che la
persecuzione degli anni ’30-40 del Novecento non è riuscita
miracolosamente né a distruggere né a disperdere, come
è invece avvenuto nella maggior parte degli altri paesi europei.
Dei molteplici usi che si potrebbero fare della banca dati raccolta
i saggi di questo volume vogliono offrire alcuni esempi.
Nel primo, Claudia Colletta mostra come i cognomi
ebraici possano essere sfruttati con ottimi risultati non solo nel
settore di studi dell’onomastica, ma anche in quello della storia
degli insediamenti e delle migrazioni. La mappatura dei cognomi e
la cronologia della loro comparsa consentono infatti di meglio definire
la composizione sociale delle comunità e di capire la natura
degli apporti al loro popolamento.
Agnese Cuccia affronta uno dei nodi centrali della
demografia ebraica dei secoli passati: la tesi che li ha identificati
fra i precursori del declino della fecondità. Sulla base dell’analisi
di una grandissima quantità di dati, derivanti da censimenti
e da una paziente ricostruzione delle famiglie, ne prova la fragilità,
giungendo anzi a dimostrare come in molti casi si verifichi l’esatto
contrario: ovvero un sensibile incremento della natalità a
partire dai primi decenni del XIX secolo. Ma il saggio mostra anche
come sia impossibile attribuire agli ebrei un modello univoco di comportamento
demografico.
Cristina Zuccaro ricostruisce in profondità
la storia demografica di una piccola comunità piemontese, Asti,
fra Sette e Ottocento, ma dimostra in modo esemplare come le dinamiche
di ogni insediamento possano essere comprese solo ponendole in stretta
relazione con quelle delle altre comunità.
Nell’ultimo saggio, Luciano Allegra tratta
un aspetto ancora poco conosciuto dei ghetti italiani, la struttura
socio-professionale degli abitanti, facendo vedere come gli spettri
occupazionali varino molto da luogo a luogo e rimandino, piuttosto
che a comuni presunte “propensioni” degli ebrei, a rapporti
di profonda osmosi con i contesti nei quali le comunità si
trovavano inserite. Ne emerge un quadro che sfata uno dei luoghi comuni
più radicati del pregiudizio antiebraico: la supposta importanza
delle professioni legate all’attività creditizia.
Luciano
Allegra insegna Storia Moderna alla Facoltà di Lettere
dell’Università di Torino. Per l’editore Zamorani
ha pubblicato i saggi La ketubbah: ricchezza e limiti di una fonte
e La famiglia ebraica torinese nell’Ottocento: le spie di
una integrazione sociale nel volume Il matrimonio ebraico.
Le ketubbot dell’Archivio Terracini, a cura di Micaela
Vitale (1997), e i volumi Identità in bilico. Il ghetto
ebraico di Torino nel Settecento (1996) e Gli aguzzini di
Mimo. Storie di ordinario collaborazionismo (1943-45) (2010).
Claudia
Colletta si occupa di storia dell’ebraismo in Italia
durante l’età moderna, con particolare attenzione agli
insediamenti ebraici marchigiani e all’applicazione della politica
delle conversioni nello Stato della Chiesa. Ha pubblicato diversi
articoli e il volume La comunità tollerata. Aspetti di
vita materiale del ghetto di Pesaro dal 1631 al 1860. Giornalista
pubblicista, attualmente è dottoranda presso la Scuola Superiore
di Studi Storici dell’Università di San Marino.
Agnese
Maria Cuccia è assegnista di ricerca presso il Dipartimento
di Storia dell’Università di Torino. Risulta attualmente
impegnata in due distinti progetti di ricerca: il primo sugli usi
delle doti femminili nell’Italia del Settecento e il secondo
sulle reti e i circuiti commerciali fra Italia e Francia nei primi
decenni dell’Ottocento.
Rori
Mancino, archivista storico-scientifico, è specializzata
in interventi sugli archivi storici d’impresa (Credito Italiano,
Telecom, Enel, Fiat, Olivetti, società Autostrade) e sugli
archivi storici delle comunità ebraiche piemontesi.
Cristina
Zuccaro ha studiato lo sviluppo demografico e la condizione
sociale degli ebrei piemontesi fra Sette e Ottocento. Attualmente
svolge la professione di archivista e lavora al Centro Internazionale
di Studi “Primo Levi” di Torino.
Recensione
all'indirizzo: http://www.carocci.it//files/recensioni/incontro%20agosto.pdf
15
x 21 cm - 259 pp. - ISBN 88-7158-166-8 - Euro 28,00
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Luciano
Allegra
Gli
aguzzini di Mimo
Storie
di ordinario collaborazionismo (1933-45)
All’alba
di un giorno d’inverno del 1945, un corpo crivellato di colpi
di mitra viene ritrovato fra la neve in una delle piazze principali
di Torino. È quello di un giovane, alto e benvestito, che reca
nel volto tumefatto segni di sevizie efferate. Si chiamava Francesco
Pinardi, come si scoprirà poco dopo, ma per i suoi cari era
più semplicemente “Mimo”, lo stesso nome di battaglia
con cui era conosciuto nel movimento di Liberazione. Di solida famiglia
borghese, Mimo, che aveva già ultimato gli studi alla Normale
di Pisa, era accompagnato dalla fama di enfant prodige. Una fama ben
meritata. La sua biografia rispecchia infatti un percorso eccezionale,
per quanto breve, ma mostra nello stesso tempo come potesse maturare,
nell’Italia degli anni trenta, una coscienza critica nei confronti
del regime fascista. Mimo venne ucciso da un commando di militi, una
delle tante bande criminali della Repubblica di Salò, perché
trovato in possesso di alcuni volantini e perché non volle
tradire. Fu vittima di una violenza feroce e gratuita, la stessa che
migliaia di italiani ebbero a subire in quei duri mesi.Questo clima
di violenza, di disgregazione del vivere civile e del comune sentire
viene qui ricostruito attraverso l’intreccio di centinaia di
altre storie: le storie della guerra civile nel Piemonte del 1943-45.
Non sono storie di scontri armati, ma episodi di ordinario collaborazionismo
nei quali la vena ideologica, il credo fascista, giocava sì,
ma in sottofondo. Li accomunano piuttosto la meschinità e il
sopruso, il tradimento e il desiderio di prevaricazione, la disumanità
e la viltà. Un movente però prevale nettamente su ogni
sentimento: il tornaconto personale. Non c’è collaborazionista
che non sembri agire se non per interesse: lucrare, arraffare, mettere
in tasca, fare carriera, fare le scarpe a qualcuno. Riaffiora dunque,
senza infingimenti, l’Italia del malaffare: una Italia molto
più vecchia di Salò e del fascismo stesso. Una Italia
antica, insofferente delle regole e ignara dei diritti, nella quale
lo stretto rapporto fra criminalità e politica è solo
lo specchio di una violenza radicata nelle relazioni sociali.
Luciano
Allegra insegna Storia Moderna nell’Università
di Torino. Ha pubblicato fra l’altro: La nascita della storia
sociale in Francia. Dalla Comune alle “Annales”,
(Torino, 1977, con Angelo Torre); Ricerche sulla cultura del clero
in Piemonte (Torino, 1978); Il parroco: un mediatore fra
alta e bassa cultura, in Annali della storia d’Italia (Torino,
1981); La città verticale. Usurai, mercanti e tessitori
nella Chieri del Cinquecento (Milano, 1987); con la Silvio Zamorani
editore ha pubblicato anche Identità in bilico. Il ghetto
ebraico di Torino nel Settecento (1996) e curato il volume Una
lunga presenza. Studi sulla popolazione ebraica italiana (2006);
ha contribuito con i saggi La ketubbah: ricchezza e limiti di
una fonte e La famiglia ebraica torinese nell’Ottocento:
le spie di una integrazione sociale al volume Il matrimonio
ebraico. Le ketubbot dell’Archivio Terracini, a cura di
Micaela Vitale (1997).
Recensioni
agli indirizzi:
http://www.officinadellastoria.info/index.php?option=com_content&view=article&id=285:recensione-gli-aguzzini-di-mimo-storie-di-ordinario-collaborazionismo-1943-45&catid=66:tra-le-due-guerre&Itemid=92
http://www.recensio.net/rezensionen/zeitschriften/il-mestiere-di-storico/2011/1/gli-aguzzini-di-mimo
http://www.sissco.it/index.php?id=1293&tx_wfqbe_pi1%5Bidrecensione%5D=4563
http://www.sissco.it/recensione-annale/luciano-allegra-gli-aguzzini-di-mimo-storie-di-ordinario-collaborazionismo-1943-1945-2010/
cm 15 x 21 - 340 pp. - ISBN 88-7158-179-8 - Euro 36,00
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PATRIMONIO
CULTURALE ARABO CRISTIANO
Yahya
al-Antaki
Cronache
dell’Egitto fatimide e dell’impero bizantino (937-1033)
a
cura di Bartolomeo Pirone
Queste
Cronache – dall’anno 937, regno del califfo al-Radi,
alla fine dell’imperatore Romano Argiro nel 1033 – propongono
un’attenta registrazione di eventi in cui di dimenano le comunità
diverse, con le loro istituzioni politiche e religiose, con le loro
credenze, dogmi e tradizioni, con i loro luoghi di culto, festività
e usanze, nella geografia delle loro città e villaggi, dei
loro mari e fiumi, chiese e moschee, monasteri e fortezze, coltivazioni
e dimore.
Dall’Egitto e dal Maghrib fatimidi, abbracciando le alterne
vicende della Grande Siria e dell’Iraq governati da dinastie
arabe o arabizzate, l’Antiocheno ripropone le tormentate relazioni
dell’Islam con il cristiano mondo bizantino, non tralasciando,
tuttavia, le speranze storiche di altri stati nascenti, quali la Bulgaria
e la Russia di allora, dandoci un’opera che per la storiografia
del tempo costituisce una delle fonti più significative del
patrimonio arabo-cristiano.
Bartolomeo
Pirone insegna Lingua e letteratura araba presso la Facoltà
di lettere e filosofia dell’Istituto Orientale di Napoli. Si
interessa di letteratura araba contemporanea e soprattutto di ricerche
su manoscritti arabo-cristiani. Tanto sul primo che sul secondo campo
di interesse ha pubblicato numerosi articoli. Ha curato, tra l’altro,
l’edizione italiana degli Annali di Eutichio (Gerusalemme
- Il Cairo 1987), nonché l’edizione araba e italiana
della Vita di santo Stefano Sabaita di Leonzio di Damasco
(Gerusalemme - Il Cairo 1991).
14,3 x 23 cm
- 399 pp. - Euro 30,00
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COLLANA
DEL DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO
Mara Anastasia
Interessi di bottega. I piccoli commercianti italiani nella crisi
dello Stato liberale 1919-1926
Prefazione
di Gian Carlo Jocteau
Quale
peso hanno avuto le classi medie nell’ascesa al potere del fascismo?
Quali insoddisfazioni, tensioni e problemi hanno attraversato questi
significativi settori sociali ed economici all’indomani della
prima guerra mondiale? In quale modo le associazioni della piccola
borghesia autonoma hanno organizzato gli interessi delle categorie
e contrattato il consenso nella difficile fase di trapasso dallo Stato
liberale al regime fascista? Il libro cerca di rispondere a queste
domande, attraverso un’analitica e originale indagine su uno
dei protagonisti più controversi di quella fase storica, i
commercianti al dettaglio, la cui adesione al fascismo è stata
a lungo considerata scontata e persino naturale. Uno stereotipo che
questa ricerca contribuisce a smontare, discutendo al contrario il
ricco e complesso panorama delle trasformazioni, richieste, mentalità
e rapporti con le altre classi che investirono e caratterizzarono
i piccoli commercianti italiani nell’immediato dopoguerra.
Mara
Anastasia è dottore di ricerca in Storia delle società
contemporane». È stata borsista della Fondazione Luigi
Einaudi e assegnista di ricerca presso il Dipartimento di storia dell’Università
di Torino. Ha curato il volume Vittorio Emanuele Giuntella, lo
storico, il testimone (Milano, 1999) ed è autrice di saggi
sulla storia dei piccoli commercianti e dell’alimentazione e
sulla storia sociale ed economica di Torino in età contemporanea.
Recensione:
http://www.sissco.it/recensione-annale/mara-anastasia-interessi-di-bottega-i-piccoli-commercianti-italiani-nella-crisi-dello-stato-liberale-1919-1926-2007/
15
x 21 cm - 222 pp. - ISBN 9788871581453 - Euro 22,00
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COLLANA
DELL’ARCHIVIO EBRAICO BENVENUTO E ALESSANDRO TERRACINI
Gloria
Arbib - Giorgio Secchi
Italiani
insieme agli altri. Ebrei nella Resistenza in Piemonte 1943-1945
Prefazione
di Alberto Cavaglion
Gli
ebrei italiani, usciti dai ghetti grazie ai moti del Risorgimento,
conquistati i diritti di cittadinanza nel Regno d’Italia, furono
un’altra volta esclusi dalla comunità nazionale con le
leggi antiebraiche del ’38; dichiarati nemici dello Stato dalla
Repubblica Sociale, braccati dai fascisti e dai nazisti impegnati
a realizzare la “soluzione finale”, dopo l’8 settembre
non avevano molte scelte: fuggire, arrendersi alla deportazione e
allo sterminio o combattere.
Questo libro, attraverso documenti ufficiali e testimonianze raccolte
in colloqui con i sopravvissuti, ricostruisce e rende onore alla storia
di quasi duecento ebrei che risiedevano o si erano trovati a vivere
in Piemonte. Uomini e donne che in quei giorni presero i sentieri
verso le montagne, in varie zone della Regione, per combattere e riaffermare
il loro senso di appartenenza all’Italia.
Nel
volume, dopo un ampio saggio di inquadramento storico sui rapporti
degli ebrei italiani con lo Stato unitario prima e con il fascismo
poi, fino alla promulgazione delle leggi razziali del 1938 e alla
persecuzione antiebraica, si analizza l’adesione all’antifascismo
e alla Resistenza dedicando una serie di approfonditi paragrafi alle
diverse zone operative del Piemonte e della Valle d’Aosta, con
le testimonianze – spesso raccolte direttamente dagli autori
nel corso della loro ricerca – di oltre cento ebrei partigiani
operanti nella regione tra l’autunno del 1943 e la primavera
del 1945; seguono le schede biografiche di tutti gli altri nominativi
individuati, una cronologia degli avvenimenti del periodo della Resistenza
e la relativa bibliografia.
Recensione
all’indirizzo: http://www.sissco.it/index.php?id=1293&tx_wfqbe_pi1%5Bidrecensione%5D=4824
15
x 21 cm - 248 pp. - ISBN 9788871581873 - Euro 26,00
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Giorgina
Arian Levi
Isacco
Levi. La religione del cuore
«È
difficile essere ebrei, recita il ben noto proverbio. Essere ebrei
della provincia Granda... è scomodo, ma forse anche divertente.
Degli ebrei piemontesi che conosco ho sempre pensato che Isacco fosse
quello più sorridente nell’animo, il meno depresso»
(A. Cavaglion).
I ricordi
di Isacco Levi, qui raccolti da Giorgina Arian Levi, rappresentano
uno spaccato della vita ebraica torinese di un tempo.
12 x 17 cm - 112 pp. - ISBN 88-7158-045-1 - Euro 10,00
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Bruno Avataneo
Le
ossa affaticate di Salomon Castelletti
Storia
di una famiglia di ebrei mantovani
Come si legge nella Prefazione di Alberto Cavaglion «questo
non è un libro di memorie» anche se è costruito
sulla memoria: «gli antenati, una volta si sarebbe detto “i
maggiori”, Avataneo è andato a cercarseli, scavando
nelle carte e insieme nei ricordi d’infanzia. La ragione che
lo ha mosso non ha niente a che fare con la scrittura di sé.
Se mai ci troviamo davanti a una “autobiografia riflessa”,
fondata su una rigorosa ricerca archivistica. È a suo modo
un (copioso) diario intimo compilato con voci (e carte) altrui,
“per interposte (e assai numerose) persone”. “Fantasmi
ritrovati”, per fedeltà a se stesso e al racconto della
propria vita».
L’autore non rinuncia tuttavia a puntellare le storie ricomposte
con le suggestioni che lo hanno accompagnato nel suo percorso esistenziale,
a partire dal “non detto” in famiglia.
Viene percorsa così nelle pagine del volume la trama plurisecolare
dei Castelletti, immersa nella vita di una città: Mantova,
con le sue acque, la sua umidità, le sue nebbie, la sua meravigliosa
storia ebraica. Una vicenda che inizia con alcuni documenti della
seconda metà del Cinquecento – alcuni con riferimenti
alla prima parte del secolo – in cui si trovano i nomi dei
primi appartenenti alla famiglia: Moise, Benedetto, Gentilhomo,
Daniel e si dipana negli anni tra successi e insuccessi, fatti storici
e della vita di ogni giorno che coinvolgono i suoi tanti protagonisti,
all’interno di una comunità che sperimentò alcuni
secoli di relativa tranquillità (i Gonzaga durante il loro
dominio intrattennero buoni rapporti con i loro sudditi ebrei; situazione
che perdurò quando Mantova passò a far parte dell’Impero
degli Asburgo), visse le speranze del Risorgimento, la crescita
economica e civile durante i primi decenni dello Stato unitario
per poi dover affrontare il crescente antiebraismo fascista e la
tragedia delle deportazioni verso la Shoah.
Bruno
Avataneo è nato nel 1951 a Torino e vive da molto
tempo, con la sua famiglia, a Cuneo. Ha lavorato a lungo nel settore
della formazione professionale e si è dedicato negli ultimi
anni a ricerche storiche sulla sua famiglia materna di origine, i
Castelletti, e più in generale sulla presenza ebraica a Mantova
nel corso dei secoli.
15 x 21 cm -
226 pp. - 28 figure nel testo - ISBN 9788871582399 - 28,00 Euro
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COLLANA
DEL DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO
Fiammetta Balestracci
La
Prussia tra reazione e rivoluzione 1918-1920
La
riorganizzazione degli interessi agricoli tra esperienze consiliari
e modelli corporativi
Alla
fine della prima guerra mondiale nelle campagne prussiane si liberarono
le tensioni, le paure e i risentimenti accumulati in quattro anni
di privazioni. Un ceto contadino economicamente prostrato dalla guerra
venne coinvolto in un movimento di consigli che si estese dalla Renania
alla Prussia orientale e che regionalmente si definì in base
ai rapporti di forza locali. Ad essere coinvolti di volta in volta
furono l’amministrazione locale, le autorità militari,
un potente ceto agrario e i rivoluzionari consigli degli operai e
dei soldati. In particolare del movimento consiliare delle campagne
cercarono di servirsi sia la grande proprietà terriera, per
dare vita a un fronte agrario, sia i rivoluzionari consigli delle
città, per indebolire il potere dei latifondisti prussiani
nelle contee agricole.
Fiammetta
Balestracci, dottore di ricerca in Storia contemporanea.
si è specializzata in storia della Germania,
occupandosi di società agraria prussiana e storia dell’editoria
tedesca. Ha condotto inoltre alcuni studi sulla storia del Pci. Ha
lavorato per una ricerca promossa dal Dipartimento di Storia dell’Università
di Torino sulla deportazione dall’Italia nei campi di concentramento
della Germania nazista. Di recente pubblicazione Militanti e vita
di base del Pci: il partito delle sezioni 1945-1989, in B. Maida
(a cura di), Alla ricerca della simmetria. Il Pci a Torino 1945/1991,
Torino, 2004; Rastrellamenti e deportazione nell’Italia
occupata 1943-1945, in Il libro dei deportati, a cura
di N. Tranfaglia e B. Mantelli, vol. 5, Milano, 2011.
15 x 21 cm - 266 pp. - ISBN 88-7158-128-8 - Euro 24,00
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LABORATORIO
DI STUDI STORICI SUL PIEMONTE E GLI STATI SABAUDI
Paola
Bianchi e Luisa Clotilde Gentile (a cura di)
L’affermarsi
della corte sabauda
Dinastie,
poteri, élites in Piemonte e Savoia fra tardo medioevo e prima
età moderna
La corte
posta al centro di questo volume non riveste il ruolo di puro palcoscenico
dell’apparenza, ma acquista lo spessore di un’istituzione
del vivere politico e sociale. Il contesto è quello della formazione
dello Stato principesco, secondo strategie che furono insieme europee
e italiane. Il libro analizza, cioè, i processi di aggregazione
e ridefinizione dei rapporti fra poteri ed élites negli spazi
savoiardi e subalpini, utilizzando la dimensione curiale come prisma
significativo. La periodizzazione esce dagli schemi convenzionali,
puntando a far dialogare i secoli del tardo Medioevo e della prima
età moderna. La Contea, poi Ducato di Savoia, l’appannaggio
piemontese dei Savoia-Acaia, i Marchesati di Saluzzo e di Monferrato,
la dominazione degli Orléans ad Asti costituiscono i fulcri
della prima parte del volume. La seconda si concentra sui territori
che tra XV e XVII secolo assistettero alla progressiva attrazione
esercitata dalla corte dei Savoia, in una realtà ancora assai
dinamica fra le province subalpine. Esempi di fedeltà variabili
e bifronti strette con Stati vicini rendono conto della complessità
delle reti di relazione costruite intorno a un potere sovrano e ai
suoi cerimoniali di corte. I rapporti dinastici e diplomatici hanno
inoltre suggerito di allargare l’orizzonte di studio al confronto
con alcuni modelli curiali stranieri. La prospettiva di lunga durata
ha consentito, così, non solo di seguire trasformazioni importanti
nei rituali, ma di ricollocare in una giusta luce figure di principi
a lungo rimaste in ombra o scarsamente valutate. A Guglielmo IX di
Monferrato, a Ludovico II marchese di Saluzzo e a Carlo II di Savoia
il libro dedica, non a caso, un certo spazio e rilievo. L’analisi
dei rapporti tra aristocrazie e principe, svolta sulla base di puntuali
riscontri prosopografici, supera infine alcuni luoghi comuni, consolidati
dalla storiografia dinastica e sopravvissuti, spesso un po’
acriticamente, fino a oggi.
Nel libro:
Renato
Bordone - Andrea Merlotti Premessa sulla collana
Parte
prima: Luisa Clotilde Gentile Il tardo Medioevo
Guido Castelnuovo "A la court et au
service de nostre prince": l’hôtel de Savoie et ses
métiers à la fin du Moyen Âge Luisa
Clotilde Gentile Il cerimoniale come linguaggio politico
nelle corti di Savoia, Acaia, Saluzzo e Monferrato Eva
Pibiri Être reçu à cour: l’accueil
des ambassadeurs étrangers par les ducs Amédée
VIII et Louis de Savoie Laurent Ripart Du
Cygne noir au Collier de Savoie: genèse d’un ordre monarchique
de chevalerie (milieu XIVe - début XVe siècle) Simonetta
Castronovo Artisti, artigiani e cantieri alla corte dei
conti di Savoia tra Amedeo V e Amedeo VII Christian Guilleré
Le financement de la cour savoyarde du milieu du XIIIe siècle
au début du XVe: essai de typologie des dépenses de
cour Giulia Scarcia Élites del territorio
piemontese e corte sabauda fra XIV e XV secolo Pierre
Lafargue Les élites chambériennes et la
cour de Savoie (XVe siècle) Renato Bordone - Donatella
Gnetti Cortesia, corti, cortigiani: Asti all’autunno
del Medioevo
Parte
seconda: Paola Bianchi La prima età moderna
Andrea Merlotti Disciplinamento e contrattazione. Dinastia,
nobiltà e corte nel Piemonte sabaudo da Carlo II alla Guerra
civile Pierpaolo Merlin La struttura
istituzionale della corte sabauda fra cinque e seicento Paola
Bianchi Una riserva di fedeltà. I bastardi dei
Savoia fra esercito, diplomazia e cariche curiali Paolo
Cozzo Il clero di corte nel Ducato di Savoia fra XVI
e XVII secolo Frédéric Meyer Les
évêques de Savoie et la cour (XVIe - XVIIe siècles)
María José del Río Barredo El
viaje de los príncipes de Saboya a la corte de Felipe III (1603-1606)
Franco Angiolini Medici e Savoia. Contese
per la precedenza e rivalità di rango in età moderna
Blythe Alice Raviola Servitori bifronti.
La nobiltà del Monferrato fra Casale, Mantova e TorinoTomaso
Ricardi di Netro Servir due principi. Giacomo Piossasco
de Feys tra le corti dei Farnese e dei Savoia
Tavole
genealogiche
Indice
dei nomi
«Corti
e principi fra Piemonte e Savoia», 1
15 x 21 cm - 576 pp., con 8 alberi genealogici, 17 tavole f.t. a colori
e illustrazioni in b/n - ISBN 88-7158-140-7 - Euro 48,00
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LABORATORIO
DI STUDI STORICI SUL PIEMONTE E GLI STATI SABAUDI
Paola Bianchi
e Andrea Merlotti (a cura di)
Le strategie dell’apparenza
Cerimoniali, politica e
società alla corte dei Savoia in età moderna
Oggetto dei saggi raccolti in questo volume sono
i cerimoniali della corte sabauda in età moderna e la riflessione
sul loro uso politico e senso sociale. Un viaggio all’interno
di una delle più antiche corti d’Europa, cui solo da
qualche anno la storiografia ha iniziato a dedicare l’attenzione
che merita. La prospettiva interdisciplinare non solo storica, ma
storico-architettonica e storico-musicale, consente di aprire una
serie di comparaisons indispensabili per comprendere un deposito simbolico
e rituale lontano dal lessico contemporaneo, eppure profondamente
legato al passato delle diverse aree statuali e nazionali. Il termine
«apparenza» che compare nel titolo va inteso, cioè,
non nel significato odierno più comune (manifestazione esteriore
che non rispecchia la realtà di cose o persone), bensì
in relazione al valore sostanziale assegnato dalla cultura d’antico
regime alla forma, al modo di apparire in funzione dello status rivestito.
Apparenza, dunque, come esteriorità regolata da norme di vario
genere e condizionata da «strategie» a un tempo convenzionali
e politiche, perciò duttili. I battesimi, i matrimoni, i funerali,
i baciamani, l’incoronazione regale del 1713-1714 costituiscono
l’oggetto dei saggi, che ricostruiscono non solo i momenti delle
cerimonie, ma le lunghe fasi di preparazione nonché gli sviluppi
di tali eventi. Attenzione particolare è stata posta ai luoghi
dei rituali (il Palazzo Reale, la Cappella, il Teatro Regio) e ad
alcuni cerimoniali che caratterizzavano e rendevano nota la corte
sabauda nei circuiti internazionali (le battute di caccia al cervo
nelle residenze che circondavano la capitale). L’etichetta e
la rigidità, che tanta letteratura ha attribuito alla corte
torinese, vanno interpretate, quindi, nel tempo e negli spazi entro
i quali la vita curiale si svolgeva. Lo studio dei cerimoniali in
un arco temporale lungo permette, in tal senso, di riflettere anche
sulla complessità del rapporto pubblico/privato in antico regime:
la discontinua, non omogenea creazione di ambiti privati nella vita
della corte sabauda convisse, nel corso dell’età moderna,
con precise e tenaci forme di esternazione e di rappresentazione pubblica
dei cerimoniali. La svolta della Restaurazione avrebbe posto anche
ai Savoia il problema di aggiornare la propria cultura curiale per
rispondere alla progressiva crisi dell’istituto monarchico.
Nel volume:
Paola Bianchi - Andrea Merlotti, Introduzione
Thalia Brero, Le baptême des enfants princiers
(XVe et XVIe siècles)
Paola Bianchi, Politica matrimoniale e rituali fra Cinque e Settecento
Paolo Cozzo, «Con lugubre armonia». Le pratiche funerarie
in età moderna
Andrea Merlotti, Una «muta fedeltà»: le cerimonie
di baciamano fra Sei e Ottocento
Tomaso Ricardi Di Netro, Il duca diventa re. Cerimonie di corte
per l’assunzione del titolo regio (1713-1714)
Paolo Cornaglia, Il teatro della corte e del cerimoniale: il Palazzo
Reale di Torino
Annarita Colturato, Musica e cerimoniale nel Settecento
Pietro Passerin d’Entrèves, Il cerimoniale della
caccia al cervo
“Corti e principi fra Piemonte e Savoia”,
3
15 x 21 cm - 240 pp. + 32 tavole f.t. a colori
- ISBN 9788871581828
- Euro 36,00
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LABORATORIO
DI STUDI STORICI SUL PIEMONTE E GLI STATI SABAUDI
Paola
Bianchi e Pietro Passerin d’Entrèves (a cura di)
La
caccia nello Stato sabaudo
I, Caccia e cultura (secc. XVI-XVIII)
«Quel cavalier
ch’ardirà di affrontare gl’animali più fieri ne’ boschi non temerà
nei campi di battaglia l’incontro de’ più feroci nemici, sicché possiam
concludere che la guerra sia veramente l’arte de’ principi e che la
caccia al cervo ne sia la maestra».
Le parole
di Amedeo di Castellamonte, scritte nel 1672 nel trattato dedicato
a Venaria Reale, «palazzo di piacere e di caccia», evidenziano il
ruolo riconosciuto all’arte venatoria nella cultura d’antico regime.
Non è casuale che in uno Stato come quello sabaudo la dinastia abbia
costruito sul binomio caccia-guerra tanta parte della rappresentazione
del proprio potere. Il volume ricostruisce alcuni dei tratti più caratteristici
delle espressioni letterarie, artistiche, musicali, architettoniche
di un lessico dinastico e politico che era costituito da elementi
peculiari, ma che era anche legato a esperienze europee diffuse, come
dimostrano in particolare i contributi dedicati alla vénerie
e alla chasse royale. La caccia come metafora della guerra,
dunque, come esercizio propedeutico per i ceti dirigenti e per i principi,
ma anche come criterio di organizzazione dei ranghi di corte e come
espressione di un loisir che riservava alla componente equestre
un’attenzione non priva di echi sul piano degli scambi commerciali
e diplomatici. Sono tutti aspetti affrontati nei saggi contenuti nel
volume, che sposano due intenti essenziali di questa collana: sfruttare
l’interdisciplinarietà degli approcci e offrire una prospettiva di
lungo periodo, necessaria per misurarsi con le dinamiche complesse
della società di corte. Intorno alla caccia, che sotto il ducato di
Carlo Emanuele II diventò emblema totalizzante dell’apparato iconografico
e iconologico concepito per la Reggia di Venaria, fiorirono un codice
retorico e un dispiegarsi di cerimoniali, declinati nelle varie residenze,
che consentono di seguire lo svolgersi dell’intero antico regime.
Nell’Ottocento il declino dell’apparato delle chasses royales
e il tramonto della caccia al cervo come momento celebrativo di eventi
pubblici avrebbero lasciato il posto a figure di «re cacciatori» ormai
lontane dai rituali dei secoli precedenti, segno di una trasformazione
dei gusti e della cultura che erano anche frutto di mutate condizioni
sociali e di una diversa gestione del territorio.
Indice
Paola BIANCHI - Pietro PASSERIN D’ENTRÈVES
Introduzione
Caccia e cultura curiale
Paola BIANCHI La caccia nell’educazione del
gentiluomo. Il caso sabaudo (sec. XVI-XVIII)
Giovanni BARBERI SQUAROTTI La caccia nella letteratura della corte
sabauda
PIETRO PASSERIN D’ENTRÈVES Trattati sulla caccia
nel Piemonte sabaudo
Caccia, corte e cavalli
Andrea MERLOTTI Il gran cacciatore di Savoia nel
XVIII secolo
Paolo CORNAGLIA Architetture equestri: la Cavallerizza di Palazzo
Reale e le scuderie di Venaria
Mario GENNERO La rimonta nella scuderia sabauda del Sei-Settecento
Blythe Alice RAVIOLA «A caval donato…». Regali
e scambi di destrieri fra le corti di Torino, Mantova e Vienna (secc.
XVI-XVII)
Caccia, feste e cerimonie
Franca VARALLO Il tema della caccia nelle feste
sabaude nei secoli XVI e XVII
Francesco BLANCHETTI Scene di caccia nel teatro in musica alla
corte sabauda tra Sei e Settecento
Giorgio MARINELLO Territorio di caccia: tra rituali di chasse
à courre e vénerie royale
Caccia e arte
Clelia ARNALDI DI BALME Jan Miel e la serie delle
Cacce per la Reggia di Venaria
Danilo COMINO I ritratti equestri della Sala di Diana alla Reggia
di Venaria Reale
Indice dei nomi
Introduzione
di Paola Bianchi e Pietro Passerin d’Entrèves Saggi di: Clelia Arnaldi
di Balme, Giovanni Barberi Squarotti, Paola Bianchi, Francesco Blanchetti,
Danilo Comino, Paolo Cornaglia, Mario Gennero, Giorgio Marinello,
Andrea Merlotti, Pietro Passerin d’Entrèves, Blythe Alice Raviola,
Franca Varallo.
«Corti
e principi fra Piemonte e Savoia», 4
15 x 21 cm - 240 pp. 49 tavole f.t. a colori - ISBN 9788871581842
- Euro 36,00
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LABORATORIO
DI STUDI STORICI SUL PIEMONTE E GLI STATI SABAUDI
Paola
Bianchi e Pietro Passerin d’Entrèves (a cura di)
La
caccia nello Stato sabaudo
II, Pratiche e spazi (secc. XVI-XIX)
Il volume segue a una precedente raccolta di saggi,
dedicati a Caccia e cultura nello Stato sabaudo (secc. XVI-XVIII),
in cui il tema venatorio era stato affrontato con attenzione al contesto
storico, letterario e artistico: la caccia era stata intesa, in particolare,
come metafora della guerra, strumento di governo, oggetto di raffigurazione
artistica e rituale ricco di significati nella società dei
gentiluomini e degli «uomini di qualità». In questo
secondo volume l’obiettivo sulle «cacce reali» nei
territori sabaudi si sposta cronologicamente, arrivando a comprendere
il secolo XIX, con l’intento di riflettere sulle pratiche e
sul rapporto con il territorio. La dimensione storica entra, così,
in dialogo stretto con gli spunti offerti anche dall’archeologia,
dalla geografia umana, dalla storia del diritto, oltre che dalla storia
dell’arte attenta all’uso concreto dei manufatti. Per
approfondire il discorso sulle pratiche, per cogliere cioè
peculiarità e ricorrenze, è stata dedicata una sezione
ad alcuni confronti nel lungo periodo nella dimensione degli antichi
Stati italiani: in particolare con gli spazi estensi, medicei e borbonici.
Indice
Paola BIANCHI Premessa
Pratiche e territorio
Pietro PASSERIN D’ENTRÈVES Dalla vénerie
royale alle riserve di montagna. Tecniche e uso dello spazio
Anna Maria PIOLETTI Spazi e luoghi delle cacce reali
Davide DE FRANCO La caccia in Altessano Superiore: partecipazione
della comunità e mutamenti negli assetti economici e sociali
del territorio
Fulvio CERVINI La caccia rappresentata. Armi di lusso per la corte
sabauda
Mario GENNERO Il cavallo da caccia: razze e tipologie
Roberta CEVASCO, Anna Maria STAGNO, Robert A. HEARN Archeologia
del lupo. Controllo delle risorse animali nella montagna ligure del
XIX secolo
Giurisdizioni
Federico Alessandro GORIA «Venatio est cuilibet
permissa de iure gentium». La regolamentazione della caccia
nella dottrina del tardo diritto comune
Vittorio DEFABIANI La «Misura Reale»: territori e
caccia
Alviero SISTRI I distretti riservati di caccia nei dintorni di
Torino nel corso del Settecento
Confronti italiani
Enrica GUERRA La caccia nel territorio estense
tra pratica e legislazione nel XV secolo
Stefano CALONACI Nello specchio di Diana. La corte e la riforma
della caccia nella Toscana di Cosimo III
Domenico CECERE Cacce reali e cacce baronali nel Mezzogiorno borbonico
Indice dei nomi
Saggi di:
Paola Bianchi, Stefano Calonaci, Domenico Cecere, Fulvio Cervini,
Roberta Cevasco, Vittorio Defabiani, Davide De Franco, Mario Gennero,
Federico Goria, Enrica Guerra, Robert A. Hearn, Pietro Passerin d'Entrèves,
Anna Maria Pioletti, Alviero Sistri, Anna Maria Stagno.
«Corti
e principi fra Piemonte e Savoia», 5
15 x 21 cm - 200 pp., 44 tavole f.t. a colori - ISBN 9788871581910
- Euro 36,00
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COLLANA
DEL DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO
Paola
Bianchi
Onore
e mestiere. Le riforme militari nel Piemonte del Settecento
L’etica
cavalleresca di ascendenza medievale attraversò profonde trasformazioni
nei primi secoli dell’età moderna, parallelamente alla
crescente burocratizzazione e commercializzazione della guerra. Con
il Settecento il mestiere delle armi, soprattutto quello degli ufficiali,
iniziò a configurarsi secondo più evidenti criteri di
professionalizzazione e d’istruzione. Affrontando i nodi complessi
della dialettica tra inerzie e mutamenti, questo libro si propone
di collocare il caso sabaudo in un contesto di riforme, analizzando
i tempi della politica e i modi delle sue realizzazioni. Lo studio
dell’organizzazione dei ranghi, del procedere delle carriere,
del mutare dei percorsi di formazione consente, in tal senso, di scomporre
vecchi stereotipi della storiografia in divisa, leggendo l’“eccezione
piemontese” non solo rispetto al panorama degli antichi Stati
italiani, ma a confronto con altre esperienze di riforma in Europa.
«...
two points of special merit should be emphasized: first Dr Bianchi’s
alertness to cultural issues... second (and a particular mark of originality)
her insistence of placing Piedmontese military development in a European
context... Her book enriches our understanding of the one Italian
state to create viable military institutions in the last century of
the old regime, and breaks decisively with the one-dimensional historiography
that so long obscured the understanding of it»
(Geoffrey Simcox, “Journal of Modern Italian Studies”,
3, VIII, 2003)
Paola
Bianchi è ricercatrice di Storia moderna presso l’Università
della Valle d’Aosta. Studiosa dello Stato sabaudo, si occupa
di storia militare e di rapporti fra le corti europee nel Sei e Settecento.
Fa parte del Comitato scientifico di «Guerra e pace in età
moderna. Annali di storia militare europea», editi da Franco
Angeli, di cui ha curato, con Enrico Stumpo e D. Maffi, il primo volume:
Italiani al servizio straniero in età moderna (2008).
Con Andrea Merlotti è autrice di Cuneo in età moderna.
Città e Stato nel Piemonte d’antico regime (Milano,
2002). Fra le curatele: Gioco, società e culture in Europa
e in Italia fra Sette e Ottocento (con A. Merlotti, Alessandria,
2001); Il Piemonte come eccezione? Riflessioni sulla «Piedmontese
exception» (Torino, 2008). Per Zamorani ha curato, con
Luisa Clotilde Gentile, L’affermarsi della corte sabauda.
Dinastie, poteri, élites in Piemonte e Savoia fra tardo Medioevo
e prima età moderna (2006); con Andrea Merlotti Le
strategie dell’apparenza. Cerimoniali, politica e società
alla corte dei Savoia in età moderna (2010) e con Pietro
Passerin d’Entrèves La caccia nello Stato sabaudo.
I, Caccia e cultura (secc. XVI-XVIII) (2010).
15
21 cm - 340 pp. ISBN 88-7158-103-2 - Euro 25,00
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COLLANA
DEL DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO
Anna
Domizia Bianco
Aqua ducta, aqua distributa. La gestione delle risorse idriche
in età romana
Gli acquedotti,
annoverati tra le più alte manifestazioni della antica civiltà
romana, capolavori di architettura che da sempre colpiscono studiosi
e viaggiatori, costituiscono la parte visibile di un complesso sistema
di approvvigionamento che, sviluppatosi a partire dal IV secolo a.C.
con la costruzione del primo acquedotto nella città di Roma,
raggiunse in età imperiale un livello qualitativo eguagliato
soltanto in tempi moderni.
Meno conosciuta, ma altrettanto evoluta, è la parte invisibile
di questo sistema, rappresentata da un articolato complesso di strutture
organizzative e di meccanismi operativi, di responsabilità
politiche e amministrative, di disciplina dei finanziamenti, di norme
civili e penali, finalizzato ad assicurare una efficace distribuzione
delle acque e a sanzionare i comportamenti illeciti. La cura aquarum
richiedeva l’impiego di risorse umane, tecnologiche e finanziarie
che presupponevano a loro volta un’accurata definizione dei
compiti: è questo il campo di indagine della ricerca oggetto
del presente volume, che affronta il tema in un’ottica originale,
cogliendo anche le implicazioni socio-economiche e politico-istituzionali
che dall’amministrazione idrica derivavano nella società
romana e inserendosi nel dibattito di pressante attualità indotto
dalle inquietanti prospettive di carenza di acqua nel mondo.
Anna
Domizia Bianco si è laureata in Storia romana presso
l’Università di Torino e ha conseguito il titolo di dottore
di ricerca in Storia antica presso l’Università di Firenze.
È stata borsista della Fondazione Crt occupandosi di culti
e religione romana nella Cisalpina occidentale. Cultrice di Storia
romana, collabora alle attività di ricerca dell’Ateneo
torinese, dedicandosi in particolare alla storia sociale, all’uso
dei documenti nella storiografia latina, alla comunicazione politica
nella società imperiale e, ultimamente, alla legittimazione
dell’uso della violenza nel rapporto tra Romani e barbari.
15
x 21 cm - 270 pp. - ISBN 97888-7158-184-4 - Euro 24,00
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"Contesti" 3
Cinzia Bonato
Molto più che pazienti.
L’ospedale di Pammatone e la popolazione della Repubblica di
Genova nel XVIII secolo
Attraverso lo studio dell’Ospedale Maggiore
di Genova, Pammatone, e dei suoi assistiti, questo libro parla della
complessa relazione esistente tra gli istituti assistenziali di età
moderna e la popolazione che vi si rivolgeva. Essa era composta da
un’ampia e intensa gamma di scambi: da una parte l’istituto
erogava cure e risorse materiali, professionali, culturali, ma dall’altra
era proprio l’ampio consenso concesso dalla popolazione a legittimare
il suo potere, e a consentirgli di esercitare una funzione cruciale
di controllo sociale attraverso la sua magistratura, la sola a potersi
incuneare nei recessi più intimi della vita della gente. Le
migliaia di cause criminali aperte, soprattutto quelle concernenti
il parto illegittimo, e la ricca documentazione riguardante le doti
delle “figlie di casa”, le esposte allevate a spese del
nosocomio, ci restituiscono uno spaccato vivo dei rapporti di lavoro,
delle relazioni affettive e delle mille strategie di sopravvivenza
di una città d’antico regime e del suo contado. Attraverso
i verbali degli interrogatori è inoltre possibile ricostruire
i diversi contesti in cui si svolgeva l’attività lavorativa
degli assistiti. Riusciamo così a cogliere la composizione
del variegato mondo di relazioni in cui essi erano coinvolti e la
diversità dei loro comportamenti, insieme con le più
disparate modalità con le quali gli individui si avvicinavano
all’ospedale per usufruire delle sue risorse.
Dall’indice generale:
Prefazione di Luciano Allegra
Introduzione
Parte prima Le persone in ospedale
Capitolo primo. Le radici dell’istituzione
Parte seconda La duplice natura dell’assistenza. Contesti
professionali e legami con le attività di Pammatone
Capitolo primo. Il quadro sociale
Capitolo secondo. Cogliere un’opportunità. Il parto
illegittimo e la legge del 1481
Capitolo terzo. A proposito di rapporti ambivalenti. Gli esposti
Parte terza Controllo sociale e competenza giudiziaria
Capitolo primo. L’autorità giudiziaria di Pammatone
Epilogo. Un tema classico, un nuovo modello per analizzarlo
Appendice. La legge del 1481
Indice dei nomi
Cinzia Bonato è dottoressa di ricerca in storia
moderna. I suoi interessi spaziano tra la storia sociale e quelle
dell’assistenza, della criminalità, della povertà
e del lavoro. Fa parte del comitato di redazione di «Contesti.
Rivista di microstoria».Tra le sue pubblicazioni: L’assistenza
come risorsa. Il caso genovese (2009); Una riflessione sulla
categoria “generazione”. La rinegoziazione del concetto
di onore a Genova nel XVIII secolo (2013); La circolazione
dell’informazione nel XVIII secolo e il successo della legge
genovese sui parti illegittimi (2014); Des familles aux institutions
d’assistance médicale : parcours volontaires, parcours
obligés (Gênes, XVIIIe siècle) (2014); Sulla
storia. Intervista con Giovanni Levi (2014); Le locande della
solidarietà (Genova, XVIII secolo) (2015); Dal documento
al racconto. La storia tra attività scientifica e divulgazione
(2015).
15 x 21 cm - 246 pp. - 12 cartine - ISBN 9788871582122
- Euro 28,00
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PATRIMONIO
CULTURALE ARABO CRISTIANO
Emanuela Braida - Chiara Pelissetti
(a cura di)
Storia di Rawh al-Qurashi
Un discendente di Maometto
che scelse di diventare cristiano
Prefazione di Fabrizio Angelo
Pennacchietti
Nel panorama dell’agiografia
orientale, soprattutto quella in lingua araba, la Passione di S. Antonio
Neomartire ovvero di S. Rawh al-Qurashi occupa un posto del tutto
singolare. Primo, perché non si presenta come la consueta leggenda
edificante dall’intreccio fantastico, bensì come la cronaca
sobria ed essenziale, ma nello stesso tempo circostanziata e attendibile,
della conversione e del martirio di un personaggio della cui storicità
non si può dubitare. Secondo, per la rilevanza e l’eccezionalità
del protagonista della Passione, che è addirittura un quraishita,
un rappresentante cioè della nobile stirpe meccana a cui apparteneva
lo stesso Muhammad, il profeta dell’Islam.
Di S. Antonio Neomartire si tramanda infatti che fu un cugino del
califfo abbaside Harun al-Rashid, e che si convertì al cristianesimo
nel 799, pronunciò i voti come monaco e affrontò eroicamente
il martirio lo stesso anno, venendo decapitato per ordine del suo
illustre parente.
Questo volume offre la prima edizione italiana della passione di S.
Antonio Neomartire assieme a un’accurata
e convincente ricostruzione della vicenda sotto il profilo storico,
geografico e culturale e con una analisi critica dei rapporti che
intercorrono tra questo testo e altri racconti agiografici del cristianesimo
orientale.
Emanuela Braida, laureata in Lingua e letteratura
araba presso l’Università
di Torino con una tesi sulle versioni cristiane arabe e siriache della
Leggenda del Teschio Redivivo. Ha proseguito lo studio della
lingua araba presso l’Istituto
Bourghiba dell’Università di Tunisi. Si occupa di testi
manoscritti in lingua neo-aramaica. Nel 2008 ha conseguito il dottorato
di ricerca in Semitistica-Arabistica presso l’Università
di Pisa con una tesi su Le annotazioni garšuni nei manoscritti
siriaci.
Chiara Pelissetti, laureata in Lingua e letteratura
araba presso l’Università
di Torino con una tesi relativa alla versione araba della Leggenda
siriaca di Mar Behnam. Ha approfondito lo studio della lingua
araba presso l’Istituto
Bourguiba dell’Università di Tunisi e presso l’Université
Lumière II di Lione.
14,3 x 23 cm
- 148 pp.
- ISBN 8871580958
- Euro 16,00
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Pierluigi
Briganti
Il
contributo militare degli ebrei italiani alla Grande Guerra 1915-1918
Prefazione
di F. Levi, nota tecnica di G. Rochat
“Negli
eserciti europei del 1914 gli ebrei erano accettati come soldati,
ma come ufficiali erano sottoposti a limitazioni e discriminazioni
variabili. Soltanto nell’esercito e nella marina italiana erano
accolti senza riserve; dalle pagine di Pierluigi Briganti emerge che
le poche diecine di migliaia di ebrei italiani davano più generali
e ammiragli, in cifre assolute, delle centinaia di migliaia e milioni
di ebrei degli altri stati europei. Una libertà che fa onore
alle forze armate dell’Italia liberale; e trova riscontro nella
partecipazione ebraica alla Prima guerra mondiale, straordinaria per
il numero di ufficiali in rapporto ai militari mobilitati.
Questa partecipazione è il tema principale del volume, che
Briganti documenta prima con l’utilizzazione di tutte le fonti
note, poi con ricerche di grande accuratezza nelle direzioni più
diverse, dai monumenti agli archivi, sempre descritti in modo esemplare.”
Dalla Nota tecnica di Giorgio Rochat
“Ci
avrebbe poi pensato Mussolini a reinventare da par suo l’identità
ebraica con le leggi persecutorie emanate a partire dal 1938. In quel
contesto, imponendo un marchio di inferiorità e di infamia
a tanti che pure non avevano esitato a dimostrare sui campi di battaglia
la propria lealtà verso la nazione, avrebbe anche creato le
condizioni per rendere nuovamente riconoscibile anche per il passato
un gruppo altrimenti destinato ad essere, per chi ne studia la storia,
sempre meno circoscrivibile. Non è un caso infatti che la ricerca
di Pierluigi Briganti si concluda proprio con una disamina delle carte
che descrivono il trattamento riservato dal fascismo ai reduci ebrei
della prima guerra mondiale, contribuendo in tal modo a farci vedere
anche sotto la luce livida e sinistra proiettata dai persecutori un
episodio vissuto viceversa dai protagonisti come un’occasione
di orgogliosa affermazione di sé.”
Dalla Prefazione di Fabio Levi
15
x 21 cm - 392 pp. - ISBN 9788871581682 - Euro 36,00
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Sonia
Brunetti - Fabio Levi (a cura di)
C’era
una volta la guerra. Racconti e immagini degli anni 1935-1945
Questo
libro che vuole essere un libro di storia, ma un po’ diverso
da quelli su cui normalmente si studia a scuola, seguendo nella sua
struttura le svolte della seconda guerra mondiale, racconta come quel
terribile cataclisma sconvolse la vita di milioni di persone. I protagonisti
delle vicende descritte sono i nonni che hanno raccontato le loro
esperienze degli anni di guerra ai nipoti, nella scuola ebraica di
Torino. Il lettore potrà, lasciandosi guidare dalla curiosità,
avventurarsi fra i testi e le molte immagini che li illustrano e ascoltare
una sorta di coro a più voci che si alternano nel descrivere
i tanti episodi significativi, tanti momenti cruciali della vita di
ognuno e di tutti.
Recensione
all’indirizzo: www.jstor.org/stable/41287531
196 pp., interamente illustrato - ISBN 88-7158-108-3 - 15,00
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Marco
Buttino e Alessandra Rognoni (a cura di)
Cecenia.
Una guerra e una pacificazione violenta
Nel
crollo del regime sovietico, la Cecenia intraprende la via dell’indipendenza
da Mosca. La Russia manda carri armati e aeroplani, è l’inizio
della guerra. Da allora ad oggi, la Russia ha riconquistato la repubblica
ribelle e ha favorito la formazione di un’autorità politica
locale a cui ha affidato una pacificazione violenta. Oggi la Russia
pare uscita da una lunga crisi, ha ricostruito un potere forte nello
stato e pretende di ottenere nuovamente un’area di influenza
attorno ai propri confini. L’analisi della vicenda cecena suggerisce
un ragionamento sulle dinamiche delle violenze, sui modi e sulla legittimità
del separatismo, sulla costruzione della mobilitazione nazionale,
sugli usi politici dell’Islam, sul terrorismo. Oggi attorno
alla periferia meridionale della Russia vi sono nuovamente aspre contese,
dal Caucaso alla Crimea. Il caso ceceno è al centro di questo
ordine discusso ed è dalla Cecenia che si può partire
per comprendere le ragioni e le possibili dinamiche dei conflitti
attuali.
Il libro raccoglie saggi di autori di varie provenienze che analizzano
gli aspetti storici, politici, sociali, culturali, giuridici dei conflitti
che hanno nel corso degli ultimi decenni interessato la Cecenia; presenta
inoltre una serie di interviste a persone coinvolte ed è illustrato
con le fotografie di Heidi Bradner e Dima Belyakov.
Nel
libro:
Marco Buttino Introduzione Alessandra Rognoni Cecenia
1989-1992: la memoria della deportazione Georgi M. Derlughian
Dalla rivoluzione alla guerra Matthew Evangelista
Le guerre Mairbek Vatchagaev Il fattore
ceceno nel movimento di resistenza del Nord Caucaso Aleksandr
Cherkasov La Cecenia oggi, tra la guerra e la pace
Giovanni Bensi I Kadyrov tra due fronti Svetlana
Gannushkina La Russia è grande, ma non vi è
un luogo dove rifugiarsi Alexis Berelowitch I
russi e le due guerre in Cecenia Anna Zafesova
La guerra in Cecenia attraverso lo sguardo dei media russi Lidiya
Yusupova La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo:
una speranza di giustizia Ludovica Poli Le
violazioni dei diritti fondamentali in Cecenia al vaglio della Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo Alessandra Rognoni
Voci dal Caucaso. Interviste
Bibliografia
Cronologia a cura di Alessandra Rognoni
Marco Buttino
Professore di Storia dell’Europa orientale e dell’Asia
centrale all’Università di Torino. Ha pubblicato vari
saggi sull’Urss e sull’Asia centrale. È autore
di La rivoluzione capovolta, L’Asia centrale tra il crollo
dell’impero zarista e la formazione dell’Urss, Napoli,
2003.
Alessandra Rognoni
Ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in slavistica all’Università
di Torino; specialista di storia del Caucaso, è autrice di
vari articoli sulla storia della Cecenia.
cm
17 x 24 - pp. 224 + 48 di tavole fuori testo a colori con 85 fotografie
e una cartina - ISBN 88-7158-158-3 - Euro 24,00
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Silvana
Calvo
A
un passo dalla salvezza. La politica svizzera di respingimento degli
ebrei durante le persecuzioni 1933-1945
Prefazione
di Fabio Levi
PREMIO INTERNAZIONALE VITTORIO
FOA 2014
( http://www.premiovittoriofoa.it/ http://www.premiovittoriofoa.it/vincitori.pdf
)
Dalla Prefazione:
“aspetto essenziale di questo libro, il
quale, non a caso, non pone al centro gli atti di rifiuto e di mancata
solidarietà, ma viceversa un episodio di apertura spontanea
e di slancio amorevole: quello di un gruppo di ragazze di seconda
superiore che da Rorschach, la loro cittadina posta sul confine con
la Germania, scrissero al Consiglio Federale – il governo svizzero
– per sollecitarlo con forza ad adottare una politica meno restrittiva
nei confronti dei profughi ebrei. In questa prospettiva, senza sottovalutare
le inaudite difficoltà, il senso di profonda impotenza o la
pavidità di chi allora dovette misurarsi con l’immensa
tragedia degli ebrei – insomma i diversi aspetti dell’estremo
divario di cui dicevamo –, il problema si sposta: il confronto
è fra chi andò incontro alla sofferenza degli altri,
i suoi pensieri, le sue motivazioni e le sue azioni concrete, e dall’altra
parte chi invece fece di tutto, con altre motivazioni e altri pensieri,
per sprangare la propria porta.
Se la si guarda a partire dall’iniziativa
delle ragazzine di Rorschach, una simile alternativa può apparire
a prima vista troppo drastica e semplificata: che senso ha –
si potrebbe obiettare – comparare una paginetta sottoscritta
da venti quattordicenni e le immense responsabilità di un governo
impegnato a garantire la sopravvivenza del proprio paese nel pieno
di una guerra mondiale? La prima risposta possibile non è tuttavia
meno elementare e sta nella reazione abnorme di quello stesso governo,
nella persona del suo ministro per la sicurezza interna von Steiger,
che non esitò a trasformare quella breve letterina in una vera
questione di Stato.
Non è qui il caso di raccontare oltre
i dettagli della vicenda, togliendo al lettore il gusto di farsi prendere
dalle pagine di Silvana Calvo. Si può però accennare
al fatto che quella lettera esprimeva un atteggiamento largamente
diffuso nel paese, capace in molti casi di dare luogo ad atti concreti
di solidarietà nei confronti dei profughi, spesso in evidente
violazione delle disposizioni emanate dalle autorità. A parlare
e ad agire non erano solo ragazzine indignate per come una singola
famiglia di ebrei era stata maltrattata al confine e riconsegnata
nelle mani dei tedeschi. A contravvenire alle leggi che imponevano
i respingimenti c’erano anche poliziotti, diplomatici, esponenti
dei governi cantonali, autorità preposte a vari livelli alla
sicurezza del paese: certo una ristrettissima minoranza, per di più
bersagliata dalla repressione, ma una minoranza in grado di produrre
atti di immediata efficacia, in poche parole di salvare delle vite
e, con questo, di impensierire gravemente le autorità.”
Fabio Levi
Punto
di partenza e perno del libro è una lettera inviata il 7 settembre
1942 dalle scolare della 2.C della Sekundarschule di Rorschach al
governo svizzero. In essa le ragazzine facevano osservare alle autorità
che respingere i profughi ebrei nelle mani dei tedeschi, ossia ributtare
“come bestie oltre la frontiera questi miseri esseri infreddoliti
e tremanti”, significava mandarli incontro “a morte sicura”.
Per questo motivo supplicavano il Consiglio Federale di cambiare atteggiamento
e di accogliere quei “poverissimi senza patria”. Il racconto
è strutturato secondo tre filoni principali.
In primo luogo viene ripercorsa la vicenda della lettera. L’effetto
che essa suscitò a Palazzo Federale, la reazione del Consigliere
Federale Eduard von Steiger il quale non esitò a trasformare
quel breve scritto in una “questione di Stato” aprendo
consultazioni con colleghi di governo e con parlamentari autorevoli
nonché interpellando il Ministero pubblico della Confederazione
in vista di punire un docente della classe sospettato di essere stato
l’istigatore della lettera. Segue poi l’inchiesta scolastica
con relativo interrogatorio del docente e della ragazze.
Per contestualizzare la vicenda viene analizzata la situazione della
Svizzera negli anni dal 1933 al 1945: la minaccia per il Paese derivante
dalla presenza ai propri confini di regimi totalitari ed espansionisti,
quali la Germania e l’Italia, e il pericolo per la coesione
nazionale rappresentato dalle teorie razziste che, se avessero prevalso,
avrebbero potuto costituire una forza centrifuga tale da indurre le
diverse componenti etnico linguistiche a lasciarsi attrarre dai paesi
limitrofi per ricongiungersi alla loro cosiddetta “comunità
del sangue”. Vi è poi l’esame dei provvedimenti
adottati per fronteggiare la situazione: la neutralità e la
politica economica per lunghi periodi subalterne alla Germania, le
reazioni dei vari soggetti istituzionali e sociali e le aggregazioni
sorte all’interno del paese, taluna per perorare la causa della
difesa ad oltranza e talaltra per chiedere adattamento e sottomissione
alle esigenze dei tedeschi. Questo avveniva mentre veniva promosso
un pregante “elvetismo” patriottico nell’ambito
della “Difesa spirituale del paese”. Quest’ultima
non era però così univoca come generalmente si pensa:
essa infatti aveva due anime una nazionalista ed una etica. L’una
preconizzava chiusura ed esclusione verso l’esterno, l’altra
voleva promuovere valori morali di solidarietà ritenuti fondamenti
dello spirito e della tradizione della Svizzera.
L’aspetto più importante che viene trattato nel libro
è la politica di asilo della Confederazione nei confronti dei
profughi, soprattutto degli ebrei che cercavano scampo dal nazismo.
Vengono dunque ripercorse le tappe di questa politica dal 1933 al
1945. Mediante documenti quali protocolli di sedute del governo, rapporti
di funzionari del Dipartimento di Giustizia e Polizia e Circolari
di istruzioni inviate da Berna ai Cantoni, agli organi di frontiera
e alle rappresentanze svizzere all’estero, si cerca di mostrare
in quale modo e con quali mezzi tale politica è stata realizzata
e quali furono le argomentazioni a monte delle decisioni adottate
che portarono ad un’accoglienza estremamente limitata in confronto
alla tragica situazione che ci si trovava di fronte.
In appendice vengono analizzate le cifre fornite dalle varie fonti
(il Rapporto Ludwig, le Tabelle di Guido Koller, il Rapporto Bergier
e il Rapporto Jezler) in vista di chiarire nel limite del possibile
le dimensioni e la distribuzione nel tempo dell’accoglienza
dei profughi dal 1938 al 1945.
Silvana
Calvo si occupa di razzismo e antisemitismo nel Novecento
e in particolare di Shoah, della situazione degli ebrei in Svizzera
e di stampa ed antisemitismo; ha pubblicato 1938 Anno infame,
Antisemitismo e profughi nella stampa ticinese, Bologna, 2005.
Recensione
all’indirizzo: http://marioavagliano.blogspot.it/2011/10/un-passo-dalla-salvezza-la-politica.html
15
x 21 cm - 288 pp., con 8 tavole f.t. e 2 cartine - ISBN 9789971581712
- Euro 28,00
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COLLANA
DEL DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO
Rosa
Canosa
Etnogenesi
normanne e identità variabili
Il
retroterra culturale dei Normanni d’Italia fra Scandinavia e
Normandia
«Questo
libro ha carattere sperimentale: è il tentativo, riuscito,
di applicare a un argomento articolato (e bassomedievale) categorie
che la medievistica degli ultimi vent’anni ha collaudato per
lo studio dei popoli altomedievali […]. Le pagine di Canosa
fanno un uso avvertito e prudente delle categorie aggiornate. Ma senza
di esse non ci sarebbe stato il passaggio, qui utilissimo, dal singolare
al plurale di alcuni concetti: non l’etnogenesi, ma “le”
etnogenesi, non un’identità forte e stabile, ma identità
variabili […]. L’angolo d’osservazione principale
è certamente la presenza normanna nel sud dell’Italia,
nella quale l’autrice ha cercato tracce sia della provenienza
dal nord della Francia sia di eventuali e per lo più nascoste
“memorie nordiche”. Ma i sondaggi hanno potuto giovarsi
delle comparazioni con le altre due regioni dell’insediamento
normanno, la Normandia e l’Inghilterra, con una rigorosa avvertenza
metodologica: tener conto, cioè, dei tempi successivi e diversi
dell’insediamento; e anche dei caratteri peculiari degli incontri
fra popoli e tradizioni istituzionali in ciascuna di quelle realtà.
Come il lettore potrà constatare, non ne deriva una completa
diluizione della nozione di Normannitas, bensì una sua complessa
articolazione».
(dalla prefazione di Giuseppe Sergi)
Rosa
Canosa, dottore di ricerca in studi storici, fa parte del
Centro di Ricerca sulle Istituzioni e le Società Medievali.
Attualmente partecipa al progetto di ricerca su “Mobilità
e radicamenti di nobili, mercanti e intellettuali fra Mediterraneo
ed Europa centrale” presso il Dipartimento di Storia dell’Università
di Torino.
15
x 21 cm - 189 pp. - ISBN 9788871581705 - Euro 24,00
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Annalisa
Capristo
L’espulsione
degli ebrei dalle accademie italiane
«Delle
Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere
ed arti non possono far parte persone di razza ebraica». dal
R.D.L. 15 novembre 1938, n. 1779
Con
questa ed altre disposizioni il ministero dell’Educazione nazionale
dimostrò di voler effettivamente attuare nel settore di propria
competenza «un’arianizzazione che può essere definita
totalitaria», come indicato da Giuseppe Bottai, eliminando gli
ebrei da tutti i centri di produzione intellettuale e di trasmissione
culturale che dipendevano dal suo dicastero. Questo libro analizza
l’espulsione degli ebrei, a partire dalla documentazione del
censimento razzista effettuato da ciascuna accademia nel secondo semestre
del 1938. Ma il censimento riguardò tutti gli accademici, anche
quelli «di razza ariana». Nel libro si parla anche di
questi: del pronto accorrere di molti a proclamarsi talora assolutamente
cattolici e talora fieramente «ariani», del rifiuto silenzioso
di alcuni di partecipare all’operazione di censimento, individuata
come il primo atto della persecuzione e non come un precedente neutro
di essa, dell’unica contestazione esplicita del carattere persecutorio
del censimento rintracciata tra le risposte degli accademici non ebrei.
Annalisa
Capristo, laureata in Filosofia, è stata borsista
presso l’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli e
l’Accademia nazionale dei Lincei. Sul tema della persecuzione
antiebraica ha pubblicato nella «Rassegna mensile di Israel»
i saggi La Commissione per lo studio dei problemi della razza
istituita presso la Reale Accademia d’Italia (1997) e L’esclusione
degli ebrei dall’Accademia d’Italia (2001). Lavora
come bibliotecaria presso il Centro Studi Americani di Roma.
Recensione
e scheda alle pagine
www.jstor.org/stable/41287588
http://www.sissco.it/index.php?id=1293&tx_wfqbe_pi1%5Bidrecensione%5D=697
http://www.cisui.unibo.it/rec/156.htm
cm
15 x 21 - XVI-408 pp. - ISBN 88-7158-101-6 - Euro 28,00
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Giuliana,
Marisa e Gabriella Cardosi
Sul
confine. La questione dei «matrimoni misti» durante la
persecuzione antiebraica (1935-1945)
La politica
razziale nazista e fascista si trovò di fronte al problema
dei “misti”, gli ebrei sposati ad “ariani”
e i loro discendenti: tracciare una netta linea di separazione, come
cercarono di fare i teorici della razza, si rivelò impresa
difficile, che investiva aspetti giuridici, economici, politici e
religiosi. La questione dei matrimoni misti assunse caratteristiche
peculiari nei diversi paesi d’Europa: alle incertezze nella
legiferazione corrispose la diversità della sorte di ciascuno
dei perseguitati, in relazione al momento, al luogo e all’autorità
che lo identificò. Anche la reazione, o la passività,
dell’opinione pubblica ebbe un peso rilevante, in Germania e
nei territori occupati. La vastità del complesso piano di distruzione
nazista finì col toccare anche quelli che si credevano al sicuro,
sia pure sulla linea di confine che distingueva chi era degno o no
di vivere.
Il libro affronta la questione sotto due punti di vista: le testimonianze
di chi fu direttamente coinvolto e gli aspetti legislativi e normativi,
in Italia, in Germania e nei paesi occupati.
Giuliana,
Marisa e Gabriella Cardosi hanno svolto
una lunga attività di ricerca in archivi e biblioteche in Italia
e all’estero; hanno pubblicato Das Problem der “Mischehen”
während der Rassenverfolgung in Italien. 1938-1945, Darmstadt
1985 e La giustizia negata. Clara Pirani, nostra madre, vittima
delle leggi razziali (Varese, 2005).
Seconda
edizione aggiornata
15
x 21 cm - XXXII-297 pp. - ISBN 9788871581415 - Euro 28,00
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COLLANA
DEL DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO
Filippo
Carlà
L’oro
nella tarda antichità: aspetti economici e sociali
La tarda
antichità è spesso descritta come una “età
dell’oro”, intendendo con questa espressione che il sistema
monetario dei secoli IV-VII si sarebbe strutturato soprattutto sulle
coniazioni nel metallo più prezioso, attraverso cioè
un vero e proprio “ancoramento all’oro” dell’intera
struttura economica e dei prezzi. Il solido, moneta introdotta da
Costantino, diventa così uno dei simboli per eccellenza del
tardo Impero romano. Questo volume mira ad analizzare e approfondire
in maniera sistematica gli aspetti sociali, economici e amministrativi
legati alla produzione, alla diffusione e alla circolazione della
valuta aurea, il suo statuto legale, il rapporto con le altre specie
monetali, in riferimento alle attività finanziarie e alle tecniche
contabili. Lo studio della moneta fornisce una serie di dati essenziali
per una più ampia comprensione della struttura della società
tardoantica e del potere d’acquisto dei diversi strati sociali
e suggerisce importanti riflessioni sul trapasso istituzionale dall’Impero
romano a quello bizantino e ai regni romano-germanici dell’Europa
occidentale.
Filippo
Carlà è dottore di ricerca in Scienze dell’Antichità.
Dopo gli studi nelle Università di Torino e di Udine ha collaborato,
come cultore di Storia romana e borsista, con l’Università
di Torino. Ha svolto attività di ricerca presso la Ruprecht-Karls-Universität
di Heidelberg; attualmente è Juniorprofessor all'Historisches
Seminar della Johannes Gutenberg-Universität, Mainz. Ha pubblicato
numerosi articoli in riviste e volumi italiani e stranieri. I suoi
interessi di ricerca si incentrano in particolare sulla storia economica
e monetaria del mondo antico, sulla storia sociale di Roma e sulla
recezione dell’antico nella letteratura e nelle arti in età
moderna e contemporanea.
15
x 21 cm - 558 pp. - ISBN 9788871581644 - Euro 36,00
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Alessandro
Carrieri
Lagermusik
e resistenza. Viktor Ullmann e Gideon Klein a Theresienstadt
La città fortezza di Theresienstadt (Terezín
in ceco), a pochi chilometri da Praga, divenne un ghetto-lager nazista
dal 1941 al 1945. Esistette con una doppia finalità: da un
lato fu istituito per rinchiudervi gli ebrei del Protettorato di Boemia
e Moravia e successivamente quelli del Reich, e dall’altro fu
sfruttato come strumento di propaganda da mostrare alla comunità
internazionale, rappresentando positivamente la vita e le condizioni
degli ebrei deportati. Al suo interno si svilupparono attività
artistiche e musicali, stimolate dalla presenza di numerosi artisti
e musicisti tra i più geniali d’Europa.
Questo libro si incentra sul concetto di resistenza e opposizione
culturale e politica al regime hitleriano attraverso l’analisi
musicale di alcune composizioni create a Theresienstadt. I due musicisti
presi in considerazione sono Viktor Ullmann e Gideon Klein; sono state
analizzate in particolare la Sonata per pianoforte di Gideon
Klein e le Sonate n. 5 e n. 6 per pianoforte e l’opera
Der Kaiser von Atlantis oder die Tod-Verweigerung (L’Imperatore
di Atlantide ovvero il rifiuto della Morte) di Viktor Ullmann. Si
è cercato così di indagare i significati delle scelte
estetiche dei due compositori, in modo da cogliervi il pensiero filosofico
e il messaggio di resistenza culturale e politica.
Dopo l’Introduzione il libro è diviso in tre
capitoli (I. L’azione resistenziale artistica degli ebrei
a Theresienstadt; II. Le Sonate n° 5 op. 45 e n°
6 op. 49 di Viktor Ullmann e la Sonata di Gideon Klein; III.
Per un’ermeneutica simbolica dell’opera Der Kaiser
von Atlantis oder die Tod-Verweigerung di Viktor Ullmann su libretto
di Peter Kein); seguono le Conclusioni, in allegato
le riproduzioni di vari documenti (manifesti di concerti, pagine degli
spartiti) dell’attività musicale a Theresienstadt, un’ampia
bibliografia aggiornata dei testi più recenti sugli argomenti
trattati e l’indice dei nomi dei personaggi che compaiono nel
volume.
Alessandro
Carrieri è assegnista di ricerca presso il Dipartimento
di Scienze politiche e sociali dell’Università degli
Studi di Trieste. Nel 2010 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca
in Filosofia delle scienze sociali e comunicazione simbolica presso
l’Università degli Studi dell’Insubria. Dal 2007
al 2008 è stato Gastwissenschafter presso il Zentrum für
Antisemitismusforschung alla Technische Universität di Berlino.
Ha curato con Giuliana Parotto il libro Il pentagramma di ferro.
Musica e creatività nei campi di concentramento (Trieste,
2010) e ha di recente pubblicato The Voice of Resistance in Concentrationary
Music, in «Political Perspectives» 2013, volume 7
(2).
cm
15 x 21 - 150 pp. - ISBN 9788871582054 - Euro 24,00
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COLLANA
DELL’ARCHIVIO EBRAICO BENVENUTO E ALESSANDRO TERRACINI
Alberto
Cavaglion (a cura di)
Ebrej,
via Vico. Mondovì XVI-XX secolo
Testi
di R. Artuffo, M. Brendolan, A. Cavaglion, G. Comino, P. S. Comino,
M. Levi, A. Merlotti, G. Neppi Modona, R. Segre, L. Tagliacozzo
“Ebrej, via Vico”. Dentro questa sintetica
dicitura dei registri dei censimenti settecenteschi riaffiora un piccolo
mondo antico. Mondovì Piazza e la contrada di Vico, per circa
mezzo millennio, sono state il centro della vita ebraica: qui si trova
ancora oggi la piccola Sinagoga con le finestre protese verso le colline;
non lontano si scorge la casa Baretti, del professor Riccardo e del
notaio Egidio Baretti, dal cui balcone sulla piazza si era affacciato,
nel corso di una storica visita nel 1891, Giosuè Carducci in
persona, poco dopo aver pubblicato la celebre ode Piemonte
e Bicocca di San Giacomo.
Questo volume raccoglie alcuni saggi sulla presenza ebraica a Mondovì
fra il XV e il XX secolo. Il lavoro è dedicato alla memoria
dell’ultimo ebreo della storica Università israelitica
monregalese, Marco Levi, di cui sono riprodotte alcune pagine inedite
nella Testimonianza di Marco Levi. La fuga e la salvezza in Val
Corsaglia (1943-1945) oltre alla Testimonianza di Maria Vinai
vedova Castagnino che l’ospitò negli anni della
clandestinità per sfuggire alla deportazione. Renata
Segre contribuisce con il saggio Alle origini della presenza
ebraica in Piemonte. Spunti e appunti; mentre Giancarlo
Comino con Sulle tracce della memoria: Ebrei e comunità
urbana a Mondovì (secc. XV-XIX) e Piero Sergio
Comino con lo studio Testimoni di una presenza: documenti
di vita ebraica nell’Archivio Storico della città di
Mondovì, della Curia Vescovile e della confraternita della
Misericordia; di Andrea Merlotti è Il
dibattito sull’emancipazione ebraica in Piemonte alla fine del
Settecento). Seguono studi di storia delle istituzioni scolastiche
(Rita Artuffo si è occupata della Comunità
di Mondovì. La scuola), delle testimonianze architettoniche
– studiate nel saggio La presenza ebraica nei territori
piemontesi dello Stato sabaudo (XVIII-XIX secolo) e nel tessuto edilizio
di Mondovì Piazza di Mariangela Brendolan e di argomento
linguistico (Primo Levi: il glossario per Armand Lunel di
Alberto Cavaglion).
Dalle carte degli archivi e dalle planimetrie catastali ritorna alla
luce la vivacità di una minoranza attiva, fortemente legata
al tessuto economico, sociale e culturale di Mondovì, ma al
tempo stesso fedele alle proprie istituzioni, alle proprie consuetudini,
alla propria “scola”, al singolarissimo gergo ebraico-piemontese.
15
x 21 cm - 224 pp. - ISBN 9788871581743 - Euro 28,00
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COLLANA
DEL DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO
Federico
Cereja
Memoria
e deportazione. Scritti di Federico Cereja
Giovanni
Carpinelli e Bruno Maida (a cura di)
In un
dopoguerra nutrito di radiose speranze molti preferivano guardare
al futuro e di deportazione e sterminio non si parlava molto. Tra
gli stessi sopravvissuti alla terribile prova era forte la difficoltà
di raccontare ciò che era accaduto. Poi si è aperta
una fase diversa, un numero crescente di storici ha avvertito il bisogno
di tornare su quelle vicende e le testimonianze hanno preso a moltiplicarsi.
Nella rottura del silenzio Federico Cereja ha svolto un ruolo importante
anche per la qualità dei rapporti che ha saputo stabilire con
gli ex deportati.
Proprio dall’intreccio tra le memorie individuali e le domande
che gli storici anche in Italia iniziano a porsi a partire dagli anni
Ottanta per avviare una feconda stagione di studi sull’intero
dramma emergono gli spunti più interessanti contenuti nel volume:
il rapporto tra la deportazione come fenomeno storico e le storie
di vita dei suoi protagonisti; la complessità e l’articolazione
della “galassia concentrazionaria”; la necessità
di ricostruire la dimensione quantitativa del fenomeno e di cogliere
le specificità dei diversi soggetti e gruppi: ebrei, politici,
internati militari, religiosi, testimoni di Geova.
Federico
Cereja (1945-2005), si è occupato a lungo di memoria
e deportazione nei Lager nazisti, diventando nel corso degli anni
un esperto, riconosciuto e apprezzato conoscitore di quella tragedia
nei suoi risvolti individuali oltre che collettivi.
Giovanni
Carpinelli, dopo essersi formato come ricercatore studiando
l’estrema destra in Francia e in Belgio, ha spesso affrontato
nei suoi studi il tema delle esperienze estreme nelle guerre e negli
stermini del secolo scorso.
Bruno
Maida, ricercatore di storia contemporanea all’Università
di Torino, coordina il Comitato scientifico della Fondazione Memoria
della Deportazione e si è occupato, nello specifico, dell’infanzia
ai tempi della persecuzione antisemita e della Shoah.
cm
15 x 21 - 210 pp. - ISBN 97888-7158-149-1 - Euro 22,00
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COLLANA
DEL DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO
Programmata
Manifesti
elettorali nella colonia romana di Pompei
Il sito archeologico
di Pompei, oggetto di scavi ormai più che bicentenari, vanta
l’eccezionale restituzione di oltre duemilaseicento programmata
di tipo elettorale: si tratta di iscrizioni parietali in lingua
latina, quasi sempre dipinte a vernice rossa e disseminate tra le
vie cittadine a maggior frequenza di pubblico. L’arco cronologico
di afferenza va dall’anno della deduzione coloniaria (80 a.C.)
al momento in cui l’eruzione vesuviana sigillò la vita
della comunità in un abbraccio di ceneri e lapilli (24 agosto
79 d.C.). Se è vero che le vicende pompeiane, in quanto storia
cittadina all’interno del grande mosaico imperiale, fanno
luce sulla plurisecolare regia messa a punto dallo stato romano,
è altrettanto vero che i manifesti elettorali, oltremodo
ricchi a livello onomastico, si offrono come osservatorio di raro
pregio sui diversi aspetti della vita pubblica dell’antica
città: il potere, le gerarchie, l’amministrazione,
l’economia, il costume.
Catherine
Chiavia è dottore di ricerca in Storia Antica. Cultrice
di Storia Romana e borsista post-dottorato, continua ad occuparsi
di tematiche socio-politiche e di acquisizione del consenso nella
città imperiale romana; collabora altresì all’attività
di ricerca dell’Ateneo torinese, rivolgendo specifica attenzione
all’uso dei documenti nelle fonti storiografiche del mondo classico
e alla romanità nell’area cisalpina tra alto e basso
impero.
15 x 21 cm -
416 pp. - ISBN 9788871581064 - Euro 25,00
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"Contesti" 2
Renata
Ciaccio
«L’inferno è dirupato»
I
valdesi di Calabria tra resistenza e repressione
L’autrice ricostruisce il contesto nel quale vissero le prime
generazioni di discendenti dei valdesi calabresi sopravvissuti alla
strage del 1561 perpetrata dalle truppe spagnole e costretti poi
con la forza ad abiurare il loro credo. Il libro descrive i modi
e i tentativi di resistenza al completo assorbimento nella società
più ampia adottati da una minoranza “ridotta”
a vivere in un contesto sociale, politico ed economico particolarmente
ostile. Attraverso lo studio di una ampia gamma di fonti, fra le
quali un ruolo di primo piano è assolto dagli atti notarili,
si ricostruiscono le minute strategie dei discendenti della minoranza
per conciliare il mantenimento dei propri tratti originari con l’adattamento
alle continue pressioni all’omologazione esercitate dall’ambiente
circostante. Si analizzano la loro capacità di inventarsi
ogni possibile escamotage per resistervi, le forme di negoziazione
e di compromesso con i poteri locali, l’abilità nel
giostrare fra gli interstizi normativi e i conflitti fra i poteri
baronali e il ceto ecclesiastico, la loro tenacia nel volersi garantire
la sopravvivenza in quanto gruppo.
Al centro dell’indagine stanno la natura e la specificità
dei meccanismi di funzionamento di una società di antico
regime in un arco di tempo in cui, nel Mezzogiorno d’Italia,
la crisi economica e politica aveva indebolito i nuclei dissidenti,
giungendo talvolta ad annullarli definitivamente. Emerge un quadro
molto mosso e vivo, nel quale i rapporti di forza mutano continuamente
nel tempo e nello spazio a seconda degli interessi in gioco e delle
alleanze del momento. Un quadro in cui le forme di collaborazione,
le solidarietà e i conflitti oscillano costantemente fra
i poli dell’opportunismo politico e dell’attaccamento
alle radici.
Renata Ciaccio insegna Storia economica e sociale
dell’età moderna nell’Università della
Calabria. Nei suoi studi si è dedicata alla ricostruzione
delle dinamiche economiche e sociali nel Mezzogiorno tra Settecento
e Ottocento, esaminando in particolare i sistemi di trasmissione
dei patrimoni familiari, i meccanismi del credito e dell’usura
e il ruolo della donna nella società calabrese. Tra le sue
pubblicazioni: Famiglie e denaro. Mobilità sociale e
attività creditizie a Cosenza tra Settecento e Ottocento
(2001), Risorse femminili. Storie di donne nella società
calabrese tra Settecento e Ottocento (2002), La doppia
identità del clero calabrese (2008), Mobilità
sociale e mobilità professionale in periferia: il caso Calabria
(2013).
15 x 21 cm - 190 pp. - ISBN 9788871582092 - 20,00 Euro
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Elisabetta
Corradini
Il difficile reinserimento degli ebrei
Itinerario e applicazione della legge Terracini
n. 96 del 10 marzo 1955
In Italia, dal ’38 al ’45, rimase in
vigore una normativa duramente discriminatoria contro tutti gli ebrei
residenti nel paese, che divenne progressivamente sempre più
drastica fino a sfociare nella deportazione e nell’assassinio.
Quell’esperienza lasciò un segno indelebile sulla vita
dei sopravvissuti e incise in profondità sulla storia del paese
nel suo insieme.
La drammatica rilevanza di quegli eventi permette di misurare il clamoroso
contrasto fra la loro effettiva dimensione e – a parte pochissime
eccezioni – il tono cauto, sfuggente e sommesso con cui se ne
discusse nel dibattito parlamentare sviluppatosi intorno alla Legge
Terracini del 1955, che avrebbe dovuto offrire un risarcimento alle
vittime della persecuzione voluta da Mussolini. L’autrice ne
rende conto attraverso le parole dei protagonisti e analizza poi,
riportando alcuni casi esemplari, come in sede amministrativa e giurisprudenziale
la condizione degli ebrei perseguitati fosse non solo sottovalutata
e mal compresa, ma esplicitamente misconosciuta; propone infine un
quadro puntuale di quanti furono nei vari periodi, compresi gli anni
più vicini a noi, i perseguitati “razziali” riconosciuti
meritevoli delle provvidenze stabilite sia dalla legge Terracini nel
suo testo iniziale sia dalle leggi di modifica approvate poi.
Il libro offre così uno squarcio illuminante sul modo in cui
le diverse culture politiche del secondo dopoguerra si sono misurate
con le persecuzioni antiebraiche e con le loro conseguenze di più
lungo periodo.
Dall’Indice
Introduzione Fabio Levi
Capitolo primo Per i perseguitati politici e razziali
Capitolo secondo Per i “ragazzi di Salò”
Capitolo terzo La svolta delle elezioni politiche del 1953
Capitolo quarto Legiferare a “denti stretti”
Capitolo quinto Perseguitati e persecutori: provvidenze per due
opposti fronti
Capitolo sesto La legge Terracini e i perseguitati razziali
Capitolo settimo Un profilo quantitativo: l’applicazione
della Legge Terracini
Appendice
Legge 8 novembre 1956, n. 1317
Legge 3 aprile 1961, n. 284
Legge 24 aprile 1967, n. 261
Legge 22 dicembre 1980, n. 932
Indice dei nomi
Elisabetta Corradini si è laureata
a Torino in Scienze politiche e ha frequentato il master in Didattica
della Shoah presso l’Università di Roma Tre. Dal settembre
2010 fa parte, come rappresentante dell’A.N.P.P.I.A., della
commissione ministeriale preposta all’esame delle pratiche avviate
in applicazione della normativa risarcitoria a favore dei perseguitati
razziali. Ha svolto attività d’insegnamento a Torino
e a Roma dove attualmente vive e lavora.
Recensione
all’indirizzo: http://www.hakeillah.com/3_12_19.htm
15
x 21 cm - 219 pp. - ISBN 9788871581903 - Euro 28,00
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LABORATORIO
DI STUDI STORICI SUL PIEMONTE E GLI STATI SABAUDI
Paolo Cozzo, Filippo De Pieri,
Andrea Merlotti (a cura di)
Valdesi e protestanti
a Torino (XVIII-XX secolo)
saggio introduttivo di G. P. Romagnani
A Torino presenze valdesi e, più in generale,
protestanti risalgono già all’Antico regime. Fu solo
nell’Ottocento, però, che il mutare delle condizioni
politiche e sociali consentì il radicarsi nella capitale sabauda
di vere e proprie comunità. Il simbolo più evidente
di ciò fu la costruzione nel 1853 del Tempio valdese sul Viale
del Re (l’attuale Corso Vittorio Emanuele II). A un secolo e
mezzo di distanza dall’inaugurazione di quell’edificio,
il volume raccoglie una serie di saggi – presentati al Convegno
per i 150 anni del Tempio valdese (Torino, 12-13 dicembre 2003)
– che riflettono sul rapporto tra Torino
e la presenza valdese e protestante fra Otto e Novecento. La costruzione
del Tempio è ricollocata nel contesto dei contemporanei dibattiti
dell’eclettismo europeo e discussa in relazione alle sue implicazioni
simboliche, liturgiche e politiche. Altri saggi si soffermano sulla
presenza valdese all’interno del quartiere di San Salvario,
sulla costruzione di nuovi templi (come quello valdese di San Donato
e quello metodista di via Lagrange), sulle alleanze imprenditoriali
e matrimoniali e sulle divisioni di culto di una comunità protestante
in forte crescita, sulla presenza di queste élite nelle reti
massoniche locali, sulle reazioni del cattolicesimo piemontese, sulle
rappresentazioni dei valdesi in ambito letterario. L’analisi
storica si incentra soprattutto sui decenni a cavallo fra Otto e Novecento,
quando importanti esponenti delle comunità valdesi e protestanti
si affermarono tra i protagonisti della vita economica e sociale di
Torino. Nel volume storici e studiosi di diversa formazione e competenze
si confrontano in un felice dialogo interdisciplinare. Il risultato,
mentre s’inserisce in modo originale ed autorevole nel rinnovamento
da tempo auspicato della storiografia sul mondo valdese, nello stesso
tempo apporta numerosi elementi nuovi alla storia di Torino nei decenni
in cui la città ridefinì la propria identità
dopo la perdita del ruolo di capitale.
Nel volume:
Andrea Merlotti - Mauro Pons Premessa
Gian Paolo Romagnani Verso una nuova storia dei valdesi? Questioni
di storiografia a mo’ di introduzione
Paola Bianchi Militari, banchieri, studenti. Presenze protestanti
nella Torino del Settecento
Adriano Viarengo I democratici subalpini e la libertà religiosa
in età carloalbertina
Sergio Pace L’ultima impresa del generale. Il progetto e
la costruzione del Tempio valdese in Torino (1850-1853)
Fulvia Grandizio I valdesi a San Salvario. L’insediamento
della comunità torinese in un quartiere ottocentesco in crescita
Paolo Cozzo «Profani delubri» e «beata tolleranza».
Reazioni e riflessioni del cattolicesimo piemontese di fronte alla
nascita del Tempio valdese di Torino
Nicola Del Corno «Il Piemonte noi non possiamo che compiangerlo».
La polemica antiprotestante nella pubblicistica reazionaria: «La
Bilancia» di Milano (1850-1858)
Gabriella Ballesio Due comunità per una Chiesa? Divisioni
sociali e divisioni di culto nella comunità valdese di Torino
nel secondo Ottocento
Ivan Balbo Networks per la fiducia: strategie imprenditoriali
e reti di relazione dei cotonieri protestanti a Torino (1883-1907)
Marco Novarino La presenza protestante nella massoneria torinese
fra Otto e Novecento
Davide Dalmas I valdesi nella letteratura piemontese dell’Ottocento
Alessandro Zussini Minoranze cattoliche e mondo protestante fra
Otto e Novecento
Maria Canella Riti funebri e sepolture nella comunità valdese
di Torino
Filippo De Pieri Due templi protestanti a Torino alla fine dell’Ottocento
Collana “Saggi e studi” 1
cm 15 x 21 - 256 pp. + 16 pp. di tavole a
colori fuori testo- ISBN 88-7158-133-4 - Euro 30,00
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PATRIMONIO
CULTURALE ARABO CRISTIANO
Mariam
De Ghantuz Cubbe
I
Maroniti d’Aleppo nel XVII secolo attraverso i racconti dei
missionari europei
Aleppo, grande emporio della Siria del Nord, dove,
fino alle soglie dell’età contemporanea, affluivano merci
dall’interno dell’Asia per essere distribuite sui mercati
del Mediterraneo. È questo lo sfondo delle vicende che questo
libro evoca, nelle quali è coinvolto un piccolo gruppo di abitanti
nella variegata società dell’Aleppo del XVII secolo:
i Cristiani Maroniti, originari del Libano ed emigrati in quella città
con la speranza di condizioni di vita meno dure.
Le loro vicende assumono un significato esemplare poiché vengono
ricostruite attraverso quel che di quei Cristiani scrivevano i missionari
europei dell’epoca della Controriforma: gli Orientali vengono
quindi visti attraverso gli occhi degli Europei che, proprio in quell’epoca,
per il ravvivarsi dell’attività missionaria, affluirono
come mai era avvenuto precedentemente nel Vicino Oriente. Nuovi al
rapporto con i Cristiani orientali, Gesuiti, Carmelitani e Cappuccini
guardano ai Maroniti, anch’essi, come loro, cattolici, ma di
rito orientale, sudditi dell’impero ottomano, vissuti per secoli
in una società diversa e scondo una cultura diversa, con la
mentalità degli Europei dell’epoca, abituati a vivere
in una società culturalmente omogenea. Si dipana, così,
la storia di un incontro-scontro fra due mondi diversi, pur accomunati
dall’unica fede religiosa, che ci spinge, oggi, a riflettere
sull’identità culturale dei Cristiani orientali e sul
valore del loro apporto al patrimonio comune.
Mariam De Ghantuz Cubbe, laureata in lettere all’Università
di Roma nel 1983 con una tesi sui Maroniti al tempo delle Crociate,
poi pubblicata, si è formata alla scuola di Giuseppe Sorge
e si dedica da vari anni allo studio dei Cristiani di rito orientale,
basandosi prevalentemente su materiale d’archivio inedito. Su
questi temi è intervenuta in numerosi articoli e in contributi
a volumi collettivi.
14,3
x 23 cm - pp. 236 Euro 18,00
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COLLANA DEL DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’UNIVERSITÀ
DI TORINO
Marco Di Giovanni
Scienza e potenza. Miti
della guerra moderna, istituzioni scientifiche e politica di massa
nell’Italia fascista 1935-1945
L’incontro tra scienza e potenza,
tra istituzioni di ricerca e sviluppo della pratica bellica, costituisce
una eredità essenziale dalla Grande Guerra. La consapevolezza
di tale fusione e dei suoi paurosi, o magici, contenuti, appartiene
all’intero contesto europeo ed anima, con segni diversi, tanto
le ipotesi operative e dottrinali dei teorici della guerra tecnologica,
quanto le politiche nazionali della scienza quanto, infine, le attese
ed i timori delle popolazioni nel ventennio interbellico. In questo
contesto, alla scienza ed a particolari applicazioni della tecnologia
bellica si attribuivano virtualità insieme terribili e liberatorie,
tali cioè da decidere con magica rapidità delle sorti
di un eventuale conflitto, attraverso una irruzione improvvisa e risolutiva
sul campo di battaglia o sul corpo vivo del nemico. Il mito di armi
decisive scaturite direttamente da applicazioni belliche di scoperte
o invenzioni impensate è parte di quel clima e percorre contesti
sociali e nazionali diversi per almeno un decennio prima della nuova
guerra mondiale.
Partendo da questo dato generale e comune, il volume affronta la peculiare
tematizzazione dell’incontro tra scienza e potenza che il regime
fascista opera attraverso una consapevole politica, tesa a valorizzare
gli elementi capaci di legittimare, ed in certo senso garantire, la
plausibilità del volto di un’Italia nuova e imperiale,
chiamata ad imporre la sua funzione storica nell’agone delle
potenze. Il fascismo parla insieme il linguaggio della tradizione
e della romanità, e quello di una modernità in parte
superficiale e posticcia, orientata comunque a mobilitare e dare respiro
al nazionalismo scientifico scaturito dall’esperienza bellica
precedente. La valorizzazione fascista della tradizione scientifica
nazionale incontra la disponibilità di tecnici e studiosi,
animando una specifica e loquace sfera pubblica che funge anche, su
un altro piano, da volano per il radicamento e l’uso politico
di una versione mitico-magica della scienza. La tradizione e lo stereotipo
del genio italiano vengono così animati in chiave di mobilitazione
delle categorie tecniche e di “nazionalizzazione” degli
inventori, e suggeriscono e legittimano l’illusione di esiti
insieme gratificanti e liberatori alle istanze nazionali di potenza
che avrebbero condotto alla guerra. In particolare, l’animazione
del mito di Guglielmo Marconi costituisce uno dai cardini della politica
di massa del regime, e la figura del grande bolognese diviene garante,
con le misteriose potenzialità dischiuse dalle sue ricerche,
degli esiti generali della spinta revisionista dell’Italia di
Mussolini. La dimensione carismatica del potere mussoliniano troverà
in questa risorsa prodigiosa uno dei suoi elementi di base.
Quella così analizzata costituisce una politica ricca di riscontri
sul piano della comunicazione pubblica e di ricadute organizzative
per le istituzioni scientifiche del paese che lo studio affronta anche
nei suoi effetti fra la popolazione, nella sua capacità di
orientare gli atteggiamenti e le attese degli italiani.
La periodizzazione trova nel 1935 uno spartiacque che opera a molti
livelli. Esso fissa una decisiva confluenza di tensioni internazionali
e dimostrazioni di forza, sviluppi istituzionali sul piano dell’organizzazione
scientifica ed effettiva sperimentazione di modelli di mobilitazione
collettiva, accelerando processi in parte già annunziati negli
anni precedenti. Il riferimento finale al 1945 individua il passaggio
in cui, a partire dalla sconfitta, rovinosa, si profila un approccio
rivisto del paese alla modernità ed una derubricazione dei
suoi pur recenti rapporti con il mito della potenza. Un disincanto
che passa attraverso la constatazione della affluente e inarrivabile
potenza dei liberatori e si nutre della speranza che da essa in questa
chiave scaturisce, relegando la tradizione del “primato”
e del genio nazionale a più modeste e pacificanti contestualizzazioni.
Marco Di Giovanni ha conseguito
il dottorato di ricerca in Storia contemporanea all’Universtà
di Torino, presso la quale, fino al 2004, è stato titolare
di un corso a contratto in “Storia delle istituzioni militari”
nell’ambito delle attività del Corso di studi interfacoltà
in Scienze strategiche. Ha condotto un’ampia serie di studi
sulle istituzioni militari e la società italiana nella seconda
guerra mondiale. Fra questi, il volume I paracadutisti italiani.
Volontari, miti e memoria della seconda guerra mondiale, (prefazione
di Giorgio Rochat, Gorizia, Ed. Goriziana, 1991), il saggio Il
10 giugno nel volume I luoghi della memoria. Personaggi e
date dell’Italia unita (a cura di Mario Isnenghi, Roma-Bari,
Laterza, 1997) e, in collaborazione con Nicola Labanca, il volume
Fantasmi di guerra totale. Studi di storia della guerra chimica
(Firenze, Forum per i problemi della pace e della guerra, 1998). Si
occupa attualmente del rapporto tra violenza, tecnica e istituzioni
militari nel secolo ventesimo (si ricorda il saggio Violenza e
tecnica. Fenomenologia bellica e coscienza collettiva nel Novecento,
in “Parole chiave”, n. 20/21, 1999) anche in funzione
del nuovo profilo assunto dai quadri ufficiali delle istituzioni militari
(affrontato nel saggio Ufficiali “comandanti” o tecnocrati?
La formazione dei quadri della Marina Militare italiana nel secondo
dopoguerra. Tradizioni culturali, scienza e management nell’età
della guerra tecnologica, in “Mélanges de l’Ecole
Française de Rome”, 2003).
Dall'indice:
Presentazione
Mario Isnenghi
Introduzione
Prologo
La Crociera atlantica della modernità fascista
Parte prima. Verso una scienza nazionale
Capitolo primo. L’eredità della Grande Guerra:
il volto militare della scienza, i simboli della potenza e la politica
del fascismo
Capitolo secondo. Autarchia, scienza e guerra: la mobilitazione
di istitu zioni e di uomini
Capitolo terzo. Mostre autarchiche, guerra e ideologia:
l’uso politico del mito inventivo
Capitolo quarto. La scienza organizzata e la potenza nazionale:
il CNR da Marconi a Badoglio
Capitolo quinto. Il mito di Marconi
Parte seconda. L’attesa della guerra
Capitolo sesto. L’immaginario tecnologico e la futura guerra
totale
Capitolo settimo. Guerra aerea, minaccia chimica e militarizzazione
collettiva. La dimensione passiva della guerra del futuro
Capitolo ottavo. Una nazione povera e forte?
Capitolo nono. Un popolo di inventoriParte terza. Naufragi ed
approdi
Capitolo decimo. Mito e tecnologia bellica tra Blitzkrieg
e guerra indu striale
Capitolo undicesimo. Una sconfitta moderna
15 x 21 cm - 308 pp. - ISBN 8871581326 - EAN 9788871581323
- Euro 24,00
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COLLANA
DELL’ARCHIVIO EBRAICO BENVENUTO E ALESSANDRO TERRACINI
Marco
Francesco Dolermo
La
costruzione dell’odio
Ebrei,
contadini e diocesi di Acqui dall’istituzione del ghetto del
1731 alle violenze del 1799 e del 1848
Introduzione
di Luciano Allegra
«E
il povero mio padre dové traversare tutta la città accompagnato
dalle maledizioni di quella folla briaca di avidità del saccheggio,
che gli lanciava l’accusa infame dell’assassinio rituale!
[…] Cento volte sentii dalla sua voce rievocare quegli episodi
del triste fanatismo! Per tre giorni stettero le povere nostre famiglie
Ebree chiuse nelle loro case».
(Raffaele Ottolenghi sugli avvenimenti di Acqui dell’aprile
1848)
La guerra
sostenuta dai Savoia contro gli eserciti repubblicani nell’ultimo
decennio del Settecento lascia profondi segni nelle campagne della
provincia
d’Acqui. L’inasprimento fiscale per sostenerne le spese
e le continue somministranze dovute ai vari eserciti di occupazione
mettono in ginocchio l’economia
locale. Nel corso del 1799, una popolazione esasperata, appoggiandosi
alla secolare propagandaantiebraica della diocesi locale, assalta
ripetutamente il ghetto.
Cinquant’anni più tardi, la percentuale degli ebrei presenti
in città è cresciuta sino al 12 per cento. L’antigiudaismo
del vescovado di Acqui giunge ad insinuare
tra la popolazione cattolica l’accusa antiebraica di omicidio
rituale: il 23 e 24 aprile 1848, ad emancipazione ormai acquisita.
si verifica un nuovo, violento assalto al ghetto.
15
x 21 cm 204 pp. ISBN 887158130X Euro 21,00
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Giorgio Fabre
L’elenco
Censura fascista, editoria
e autori ebrei
«Per eliminare dalla circolazione gli scrittori
ebrei, ebraizzanti, o comunque di tendenze decadenti, occorre impartire
ai direttori di giornali e riviste, e agli editori un ordine perentorio
e preciso, compilando una lista di autori da evitare». Con questa
indicazione riservata, dell’aprile 1938, Mussolini e il ministero
della Cultura Popolare davano avvio in Italia alla bonifica degli
«scrittori ebrei», in largo anticipo rispetto alle prime
vere e proprie leggi antiebraiche emanate cinque mesi dopo. Fu una
vicenda censoria poco lineare, ma preparata a lungo; formulata come
un’iniziativa «culturale» o «spirituale»,
in breve si trasformò in un’operazione puramente razzista
che coinvolse editori, librai, autori. Venne messa in atto con estrema
riservatezza, tanto che per ricostruirla è stato necessario
consultare numerosi fondi archivistici e bibliotecari, italiani e
stranieri. Al termine, ottenne risultati assai efficaci e destinati
a riflettersi sulla cultura italiana del dopoguerra.
Giorgio Fabre ha pubblicato studi
sull’apparato repressivo fascista e sugli intellettuali negli
anni Trenta e i volumi D’Annunzio esteta per l’informazione
(1880-1900) (Napoli, 1981);, Roma a Mosca. Lo spionaggio
fascista in Urss e il caso Guarnaschelli (Bari, 1993); Il
contratto. Mussolini editore di Hitler (Bari, 2004); Mussolini
razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita
(Milano, 2005).
Recensioni:
www.jstor.org/stable/41287277
http://archivio.panorama.it/Quand-era-proibito-leggere-autori-ebrei
http://archiviostorico.corriere.it/1999/gennaio/03/Fascismo_vil_razza_editori_co_0_9901031553.shtml
15 x 21 cm - XIV-500 pp. ISBN 8871580710 Euro
32,00
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COLLANA
DEL DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO
Luca
Fanelli
La
scelta dalla terra
Studio
di un insediamento rurale del Movimento Sem Terra in Brasile
In questo
libro è raccontata la vita di circa trenta persone che oggi
risiedono e lavorano insieme in un insediamento rurale organizzato
dal Movimento Sem Terra nel nord dello stato del Paraná, in
Brasile. Il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra do Brasil
è uno dei movimenti contadini più interessanti a livello
mondiale. Pur coagulando intorno a sé un numero di partecipanti
inferiore ad altre organizzazioni che operano nelle campagne del Brasile,
in poco più di vent’anni è diventato un punto
di riferimento fondamentale nel panorama dei movimenti sociali, sia
rurali, sia urbani. La ricostruzione della vita delle persone che
oggi vivono nell’insediamento Santa Maria permette di affrontare
temi molto diversi: l’esodo rurale e la fine del mondo contadino,
il legame tra i fenomeni di abbandono delle campagne e lo sviluppo
economico, il mutamento nel tempo del ruolo delle aree rurali, la
natura famigliare o capitalistica dell’economia contadina negli
insediamenti di riforma agraria. Tali questioni sono attraversate
da un interrogativo dal quale ha preso le mosse questa ricerca: “è
possibile un equilibrio tra città e campagna differente da
quello affermatosi nei paesi altamente industrializzati?”. A
questa domanda l’autore ha voluto rispondere con strumenti storici
e più precisamente microstorici, adottando quindi un metodo
multidisciplinare mediante l’analisi approfondita di un caso
circoscritto nello spazio e nel tempo.
Luca Fanelli
(Torino, 1976) si è laureato in Storia Contemporanea presso
l’Università di Torino con la tesi che è alla
base di questo volume. Ha illustrato i temi affrontati nella ricerca
partecipando al congresso Latin American Studies Association a Washington
nel 2002. Lavora nel campo dell’editoria; collabora con organizzazioni
non governative di cooperazione allo sviluppo. Si è anche
occupato di fotografia come fonte storica, pubblicando articoli
e saggi sull’argomento.
15 x 21 cm -
160 pp. - ISBN 8871581105 Euro 20,00
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Luca Fenoglio
Angelo Donati e la «questione
ebraica» nella Francia occupata dall’esercito italiano
Prefazione di Fabio Levi
Nel dicembre 1942, nella Francia meridionale occupata dagli italiani,
un facoltoso e ben introdotto banchiere d’origine italiana
si oppose al tentativo delle autorità francesi di consegnare
ai nazisti alcune migliaia di ebrei stranieri rifugiati in Costa
Azzurra. Si chiamava Angelo Donati e gli sforzi che sino alla disfatta
italiana dell’8 settembre 1943 egli compì tra Nizza
e Roma per salvare migliaia di suoi correligionari dai campi di
sterminio sono al centro del libro di Luca Fenoglio. In esso, sulla
base di una vasta documentazione, in larga parte inedita, l’autore
si sofferma altresì sulla vicenda personale di Donati: sulla
sua ascesa professionale e sociale nella Parigi degli anni venti
e trenta, sugli incarichi di prestigio da parte delle istituzioni,
sulla sua vasta e variegata rete di relazioni con i vertici politici
ed economici – francesi e italiani, sionisti e fascisti –,
ma anche sugli effetti delle persecuzioni antiebraiche, sino alla
fuga di fronte all’invasione tedesca e al complicato approdo
in Costa Azzurra prima dell’arrivo dell’esercito italiano.
Il libro di Fenoglio, tuttavia, non si esaurisce nella ricostruzione
della vicenda di Donati prima e durante l’occupazione italiana
del sud-est della Francia. Essa, al contrario, rappresenta l’inedita
chiave di lettura attraverso cui l’autore ripropone un problema
centrale negli studi sugli anni della seconda guerra mondiale: quello
del comportamento assunto dalle forze italiane di occupazione nella
Francia meridionale fra il novembre del ’42 e l’8 settembre
del ’43. Un problema dalle molte implicazioni di ampio respiro:
riguardo più in generale alla politica di Mussolini e ai
rapporti fra Italia e Germania, ma soprattutto al modo in cui il
regime fascista gestì la politica antiebraica in un periodo
ancora precedente all’armistizio con gli Alleati. La figura
e l’azione di Donati in Costa Azzurra consentono così
all’autore di fare nuova luce sui protagonisti di quel convulso
periodo: sui diplomatici e sui funzionari di polizia italiani incaricati
di gestire la “questione ebraica” nella Francia occupata;
sui membri delle organizzazioni ebraiche di soccorso; sui servizi
di polizia tedeschi impegnati a dare la caccia a Donati; ma anche
sull’aura leggendaria via via formatasi attorno alla figura
del Donati “salvatore di ebrei”.
Nel confrontarsi con la dimensione del mito, Fenoglio ha però
resistito alla tentazione di ribaltare il punto di vista e procedere
semplicemente alla sua demolizione. Piuttosto, ha scelto di attenersi
rigorosamente ai fatti, senza però perdere mai di vista il
senso più generale degli avvenimenti. Il risultato finale
è dunque uno studio rigoroso, sebbene incentrato su un orizzonte
più limitato, parziale – il contributo appunto di un
personaggio importante ma non risolutivo come Angelo Donati –
tale però da garantire una solida testa di ponte dalla quale
poi poter ripartire per procedere con pazienza alla conquista di
una visione più ampia e generale del periodo.
Luca Fenoglio si è laureato in Storia all’Università
degli Studi di Torino, dove è stato allievo di Fabio Levi.
Dal gennaio 2012, è Ph.D. Student presso la School of History,
Classics and Archaeology, University of Edinburgh. La sua tesi di
dottorato, finanziata da una borsa di studio triennale della University
of Edinburgh, indaga la politica italiana verso gli ebrei nei territori
francesi occupati durante la seconda guerra mondiale.
Materiali e recensioni:https://www.academia.edu/4819397/Angelo_Donati_e_la_questione_ebraica_nella_Francia_occupata_dallesercito_italianoGiorgia
Greco, in "Letti e commentati", "Informazioen corretta"
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=80&id=51315
15 x 21 cm - 192 pp., con 3 cartine - ISBN 9788871582009
- Euro 28,00
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Gabriele Ferluga
Il processo Braibanti
Luglio 1968: in un clima oscurantista e nella quasi
totale assenza di voci critiche, il Tribunale di Roma condanna Aldo
Braibanti a 9 anni di prigione per plagio. Quel reato, che successivamente
verrà cancellato dal Codice Penale italiano, è chiamato
a giustificare, nella sua abnorme ambiguità, la reazione istintiva
e violenta dell’Italia benpensante contro ogni anticonformismo
e inoltre contro il fantasma dell’omosessualità. Proprio
quest’ultimo aspetto rappresenta la chiave di lettura privilegiata
attraverso cui il libro ricostruisce le diverse fasi del processo,
le cronache di stampa dell’epoca, la mentalità e il comportamento
di protagonisti e spettatori della vicenda.
«A proposito di vergogne anche noi abbiamo le nostre. E una
delle più aspre è quella che ha visto coinvolto Aldo
Braibanti, filosofo e poeta, drammaturgo e ceramista (e altro ancora),
che nel luglio 1968 fu al centro di un processo infame. Gabriele
Ferluga, giovane e coltissimo studioso di quel processo, è
ora l’autore di “Il processo Braibanti” dove riassume
e spiega quella che troppo facilmente rubrichiamo tra le “faccende”
di un’epoca e che invece è costata un prezzo insopportabile
alla vittima» (Daniele Scalise, “Il foglio quotidiano”,
24 gennaio 2004).
Gabriele Ferluga (Gorizia, 1973), studioso e autore
di documentari, vive a Parigi dal 2001; si è laureato in
Scienze della comunicazione all’Università di Torino.
Ha orientato i suoi studi sulla storia dell’omosessualità;
sul tema del libro ha pubblicato Le cas Braibanti: un procès
contre l’homosexualité, nel numero 5 della rivista
«Inverses» (2005).
15 x 21 cm - 276 pp. - ISBN 88-7158-116-4
- Euro 18,00
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Antonella
Filippi - Lino Ferracin
Deportati
italiani a Majdanek
Presentazione
di Fabio Levi
«Questo libro intende restituire un nome e una
storia ai molti italiani deportati nel lager di Majdanek negli anni
della seconda guerra mondiale, contribuendo in tal modo a contrastare,
pur nei limiti di un ricordo postumo, la volontà annientatrice
dei nazisti, che si abbatté su milioni di vite spezzandole
e cancellandone programmaticamente anche solo la più piccola
traccia», come si legge nella Prefazione di Fabio Levi al volume.
È il risultato del compito che si sono posti Antonella Filippi
e Lino Ferracin, professori a Torino, arrivati nel lager nazista di
Majdanek con i loro studenti per un Viaggio della Memoria: rintracciare
tutti i prigionieri italiani che passarono attraverso quel campo nella
Polonia occupata (e che in gran parte non fecero ritorno). La loro
ricerca ha portato, dalle prime analisi dei documenti rimasti e di
una copia conservata presso il Museo di Majdanek del Totenbuch
– il registro in cui venivano elencati di giorno in giorno i
decessi dei prigionieri –, alla scoperta di informazioni sempre
più precise sulla vita dei deportati, fino all’incontro
più diretto con i loro volti e le loro voci attraverso le memorie
conservate in famiglia.
Gli autori al contributo del direttore del Museo, Tomasz Kranz, sulla
storia del lager e a quello dell’archivista Marta Jablonska
sulla documentazione relativa alla presenza di prigionieri italiani
a Majdanek, fanno seguire l’elenco di 227 deportati, ad ognuno
dei quali hanno dedicato una scheda biografica con tutti i riferimenti
ai documenti che ne ricostruiscono i percorsi attraverso il sistema
concentrazionario; in un capitolo specifico – dando conto di
alcune importanti scoperte rispetto all’attuale storiografia
della deportazione – analizzano i trasporti (dall’Italia
e tra un lager e l’altro in Germania e nei Paesi occupati);
approfondiscono le vicende di alcune decine di deportati per i quali
è stato possibile ritrovare testimonianze più dirette
(da lettere, documenti di famiglia e dai ricordi di chi li conobbe);
ripercorrono la storia della conoscenza in Italia del lager di Majdanek
e infine propongono al lettore le memorie di Carmelo Arno Marino,
uno dei pochi che riuscirono a fare ritorno e che ci ha lasciato,
in un testo di estrema vivezza, la testimonianza della sua deportazione.
Dall’indice
Prefazione di Fabio Levi
Capitolo 1. Storia di una ricerca
Capitolo 2. Il lager di Majdanek
1. Storia del lager di Tomasz Kranz
2. Gli Italiani nei documenti d’archivio del Museo Statale
di Majdanek di Marta Jablonska
Capitolo 3. L’elenco dei deportati italiani nel lager di
Lublin-Majdanek
Capitolo 4. Geografia dei trasporti
Capitolo 5. Storie di uomini
Capitolo 6. Che cosa si sapeva di Majdanek in Italia?
Appendice. Memorie di Carmelo Arno Marino
Bibliografia
Gli autori
Antonella Filippi, docente di Lettere in un Istituto
superiore di Torino, responsabile del Progetto Memoria della scuola,
ha dedicato largo spazio della sua attività didattica all’insegnamento
della deportazione. Ha curato l’organizzazione e la preparazione
storica dei Viaggi e delle Giornate della Memoria.
Lino Ferracin, docente di Lettere in un Istituto
superiore di Torino, ha condiviso tutti i lavori del Progetto Memoria,
occupandosi della preparazione storica dei viaggi, di mostre fotografiche
nella scuola e presso la Comunità ebraica di Torino (2011)
e della conservazione multimediale della memoria dei testimoni.
Vedi anche:
La
Stampa del 21/05/2013; http://www.hakeillah.com/3_13_22.htm
15
x 21 cm - 304 pp., con una cartina e 78
illustrazioni
in b/n - ISBN 9788871581972 - Euro 32,00
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Elio
Toaff. Un secolo di vita ebraica in Italia
Rabbino capo di Roma per cinquant’anni, Elio Toaff è
stato colui che ha spinto il mondo ebraico italiano, nel dopoguerra
ancora marginale, su posizioni culturalmente e politicamente sempre
più egemoni, traghettandolo nell’Italia di oggi. Colui
che ha saputo essere al tempo stesso un personaggio fondamentale
della vita ebraica e un protagonista indiscusso della storia italiana
del Novecento, interpretandone con intelligenza cambiamenti, tendenze
e speranze. Nel volume
Nel volume:
Ermanno Tedeschi Prefazione
Riccardo Pacifici Premessa
Anna Foa Introduzione
Tommaso Dell’Era Elio Toaff tra Livorno
e Ancona: contributo a un’analisi storica
Riccardo Di Segni Il magistero
rabbinico di Rav Elio Toaff a Roma
Gadi Luzzatto Voghera La cultura
ebraica italiana nel dopoguerra (1945-1965)
Marco Morselli «Oggi che
il cristianesimo mostra di voler tornare alle origini». Il contributo
di Rav Elio Toaff al dialogo ebraico-cristiano
Andrea Riccardi La storia di
un’amicizia
Alberto Melloni Rav Toaff e
la ricezione del Concilio. Il papa e il Vaticano II nella sinagoga
di Roma
Alain Elkann Elio Toaff
Giovanni Maria Vian Elio Toaff,
un uomo di apertura
Bibliografia degli scritti di Elio Toaff
Anna Foa insegna Storia moderna all’Università
di Roma La Sapienza. Si è occupata di storia della cultura
nella prima età moderna, di storia della mentalità,
di storia degli ebrei. Tra le sue pubblicazioni: Ateismo e magia
(Roma 1980); Giordano Bruno (Bologna, 1998); Eretici.
Storie di streghe, ebrei e convertiti (Bologna, 2004); Ebrei
in Europa. Dalla Peste Nera all’emancipazione XIV-XIX secolo
(Roma-Bari, 2009); Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento
(Roma-Bari, 2009).
15 x 21 cm - 144 pp. ISBN 9788871581781 Euro
18,00
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Chiara Foà
Gli ebrei e i matrimoni
misti
L’esogamia nella comunità
torinese (1866-1898)
I matrimoni misti tra ebrei e non ebrei nella seconda
metà dell’Ottocento crebbe a Torino in misura consistente
fino a raggiungere una percentuale di circa il 25 per cento. Il fenomeno
viene qui analizzato in rapporto alle trasformazioni indotte nel mondo
ebraico piemontese e italiano a partire dall’emancipazione decretata
da Carlo Alberto nel 1848. A questo si aggiunge un’attenta rassegna
del dibattito sviluppatosi in proposito sulle principali riviste ebraiche
dell’epoca: molte infatti furono le voci che si levarono allora
per criticare – ma anche per apprezzare – la tendenza
sempre più diffusa fra gli ebrei ad operare scelte matrimoniali
anche al di fuori del gruppo ebraico, magari al prezzo di una evidente
rottura con la tradizione. La varietà e la ricchezza delle
motivazioni addotte in quelle discussioni si presentano con grande
vivacità e sollecitano l’interesse anche per l’attualità
di un problema che si ripropone con tanta maggior frequenza nella
complessa realtà odierna.
15 x 21 cm - 204 pp. - ISBN 88-7158-098-2 -
Euro 20,00
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Paolo Foa
Nascita
di una coscienza ebraica
La guerra, gli affetti,
lo studio, l’impegno nelle istituzioni
Presentazione di Michele Luzzati
Dalla coscienza di un bambino ebreo al centro della
guerra e delle persecuzioni antisemite, alla sua crescita nella famiglia
e nella Comunità Ebraica, dagli innamoramenti giovanili alla
laurea, all’impegno nelle istituzioni ebraiche, in un percorso
che attraversa Torino e le sue montagne.
«Raccontarsi significa analizzare il proprio
passato, e questa analisi serve anche per conoscere meglio se stessi,
per capirsi meglio, e per trasmettere alla generazione dei nipoti
quelle esperienze, che gli anni consentono ora di comporre in un quadro
più organico».
Paolo Foa (Torino, 1938) dopo la guerra,
frequenta la scuola ebraica di Torino e si è laureato in ingegneria
al Politecnico nel dicembre 1961.
Negli anni dal 1955 al 1972 è stato attivo nelle organizzazioni
giovanili ebraiche, nella Federazione Sionistica Italiana, nel Centro
di Documentazione ebraica Contemporanea. Negli anni ’90, a Milano,
fa parte del consiglio del “Nuovo Convegno” e del Gruppo
di Studi Ebraici “Keillah”.
12 x 17 cm - 136 pp. ISBN 8871581342 Euro 10,00
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Umberto Fortis
La “bella ebrea”. Sara
Copio Sullam, poetessa nel ghetto di Venezia del ’600
Con la tua scorta, ecco, Signor, m’accingo / A la difesa,
ove m’oltraggia e sgrida / Guerrier, che ardisce querelar
d’infida / L’alma, che, tua mercé, di fede i’
cingo. / Entro senz’armi in non usato aringo, / Né
guerra io prendo contra chi mi sfida. / Ma, poiché tua pietà,
mio Dio, m’affida, / Col petto ignudo i colpi suoi respingo.
La produzione poetica di Sara Copio Sullam nasce dal suo desiderio
di raggiungere la fama nel mondo letterario per compensare, in tal
modo, lo stato di inferiorità sofferto come donna e come
ebrea, reclusa entro i portoni del ghetto e infrangere, così,
le mura della segregazione. Unendosi al tentativo di mediazione
culturale tra lo spazio interno e le prospettive esterne, operato,
al suo tempo, da una minoranza intellettuale del quartiere ebraico
veneziano, la Copio seppe fondere nei suoi sonetti e nella prosa
del suo Manifesto le esperienze della poesia contemporanea e la
tradizione dei padri, nell’intento di conseguire almeno nella
città delle lettere la dignità e la libertà
continuamente negate dall’emarginazione sociale imposta dalla
Serenissima. I ripetuti inviti alla conversione, però, e
le costanti accuse dei suoi interlocutori costrinsero i suoi versi
a trasformarsi, con il tempo, in vere armi di difesa dell’ebraismo
e della moralità di chi, come lei, vedeva contratta ogni
reale possibilità di dialogo con la società circostante:
testimonianza dell’incapacità di un’epoca di
comprendere le ragioni dell’altro o di chi era ritenuto inferiore
o diverso.
Umberto Fortis, oltre a saggi e volumi su Leopardi,
la narrativa minore dell’Ottocento, le parlate giudeo-italiane
e la cultura ebraica in Italia, ha pubblicato, tra l’altro,
Ebrei e sinagoghe (1973); La parlata giudeo-veneziana
(1979) con P. Zolli; Il ghetto sulla laguna (1987); Il
ghetto in scena. Teatro giudeo-italiano del Novecento (1989);
Editoria in ebraico a Venezia (1991). Ha curato Venezia
ebraica (1982); Vita di Jehudà. Autobiografia di
Leon Modena (2000) con altri; Adolfo Ottolenghi (2003).
15 x 21 cm - 168 pp. - ISBN 8871581113 - Euro 20,00
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Umberto Fortis (a cura di)
Dall’antigiudaismo
all’antisemitismo 1
L’antigiudaismo
antico e moderno
Ha schernito la mia nazione, s’è
messo di traverso nei miei affari, ha gelato i miei amici, ha riscaldato
i miei nemici. E tutto questo perché? Perché sono un
ebreo. Un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, membra, sensi,
affetti, passioni? Non si nutre dello stesso cibo, non è ferito
dalle stesse armi, non va soggetto alle stesse malattie, non si guarisce
con gli stessi mezzi, non ha il freddo dello stesso inverno e il caldo
della stessa estate d’un cristiano?
(W. Shakespeare, Il mercante di Venezia, atto III, scena
I)
Uno dei nodi sui quali s’interroga la storiografia
contemporanea è quello dei rapporti di continuità tra
la millenaria discriminazione nei confronti degli ebrei e i movimenti
antisemiti dell’Ottocento e del Novecento.
La cultura antica ha prodotto una vasta gamma di stereotipi antiebraici,
destinati a durare nel tempo. Il rifiuto del particolarismo ebraico
(ebreofobia, giudeofobia, antigiudaismo), nei secoli precedenti l’era
volgare, costituì un supporto di forte rilevanza, sul quale
il cristianesimo poté più facilmente sviluppare la propria
percezione negativa nei confronti degli ebrei. Le accuse di deicidio,
di omicidio rituale, di usura, i massacri di massa durante le crociate,
l’imposizione del segno distintivo, come pure eventi di valore
epocale, quali l’inquisizione, la cacciata dalla penisola iberica
e l’istituzione dei ghetti, sono i tragici riscontri storici
di un’avversione, che ha condizionato nei secoli la vita degli
ebrei nella diaspora europea.
Nel volume:
Lucio Troiani, L’antigiudaismo nel mondo ellenico
Carlo Franco, Il mondo romano e l’ebraismo
Piero Stefani, Le origini dell’antigiudaismo cristiano
Giacomo Todeschini, L’evoluzione degli stereotipi antiebraici
fra Medioevo ed Età Moderna
Documenti e testimonianze, a cura di Umberto Fortis
15 x 21cm - 128 pp. - ISBN 88-7158-125-3 -
Euro 18,00
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A cura di Umberto Fortis
Dall’antigiudaismo
all’antisemitismo 2
L’antisemitismo
moderno e contemporaneo
Se un uomo attribuisce tutte o parte delle disgrazie
del paese e delle proprie disgrazie alla presenza di elementi ebraici
nella comunità, se egli propone di rimediare a questo stato
di cose privando gli ebrei di alcuni dei loro diritti o escludendoli
da certe funzioni economiche e sociali o espellendoli dal territorio
o sterminandoli tutti, si dice che egli è di opinioni antisemite.
J. P. Sartre, Réflexions sur la question juive,
1947
I rapporti di continuità e gli elementi di
diversità fra l’antiebraismo dell’Ottocento e l’antisemitismo
nazista; la valenza denigratoria della pratica della caricatura, supporto
non secondario al diffondersi dell’odio antiebraico soprattutto
nella Francia del primo Novecento; l’esito estremo della Shoah
nella prospettiva odierna di revisionisti e negazionisti; la riattivazione
di moduli e di stereotipi dell’archivio antiebraico da parte
di politici e saggisti; la diffusione di siti violentemente antisemiti
nella rete internet nazionale e i problemi legati all’insegnamento
della storia ebraica e dell’antisemitismo nelle scuole e nelle
università sono i temi trattati nelle relazioni raccolte in
questo volume e presentate alla XXVIII giornata di studio, organizzata
dalla Comunità Ebraica di Venezia il 30 novembre 2003, in occasione
del LX anniversario delle deportazioni nazifasciste dall’Italia.
Nel volume:
Umberto Fortis, Premessa
Giovanni Miccoli, L’antisemitismo fra Otto e Novecento:
continuità e mutamenti
Marie-Anne Matard-Bonucci, La caricature, temoin et vecteur de
l’internationalisation de l’antisémitisme? La figure
du «juif monde»
Riccardo Calimani, L’antisemitismo in Francia negli anni
Trenta
Valentina Pisanty, Come ragionano i negazionisti
Simon Levis Sullam, L’archivio antiebraico. Contributo all’analisi
dell’antisemitismo
Adriana Goldstaub, L’antisemitismo nei siti internet italiani
Gadi Luzzatto Voghera, Antisemitismo, Shoah e questioni di didattica
Appendice
Umberto Fortis, Tra i nipoti di Shylock. L’usuraio ebreo
nella letteratura dell’Italia liberale
15 x 21 cm - 164 pp. - ISBN 88-7158-126-1 -
Euro 18,00
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COLLANA
DEL DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO
Massimiliano
Franco
I
giorni del vino e del coltello
Analisi
della criminalità in un distretto industriale di fine ’800
Sul finire
dell’Ottocento uno dei più importanti distretti industriali
italiani, il Biellese, accanto alla accelerazione del processo di
fabbrica e al progresso economico, conobbe un aumento della delinquenza
tale da destare vive preoccupazioni presso il ceto dirigente e industriale,
le classi borghesi e la popolazione tutta. Biella, la “Manchester
d’Italia”, sembrò divenire un palcoscenico dove,
in mezzo a strati sociali in parziale frantumazione e ricomposizione,
il vento della modernità avanzava vischiosamente segnato da
residui culturali antichi e da nuovi antagonismi. In questo contesto,
medici e criminologi, magistratura e forze di polizia cercarono di
individuare e affrontare, neutralizzare e alle volte capire criminali
e devianti, sovversivi veri e presunti o semplici marginali, restituendoci
uno spaccato storico e sociale ricco di sfumature e di contrasti.
Massimiliano
Franco ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia delle
società contemporanee presso l’Università di Torino.
Specializzato in storia sociale e del lavoro, si è occupato
soprattutto di storia criminale e dei problemi legati ai regimi alimentari
delle classi popolari ottocentesche.
15
x 21 cm - 232 pp. - ISBN 9788871581507 - Euro 24,00
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Lucia Frattarelli Fischer
Vivere fuori dal ghetto.
Ebrei a Pisa e Livorno (secoli XVI-XVIII)
Per sfuggire alle Inquisizioni di Spagna e Portogallo,
numerosi conversos accettarono le opportunità offerte
dai privilegi dei granduchi di Toscana. Alcuni arrivarono come cristiani
nuovi e si inserirono con ruoli di prestigio quali professori universitari
e giudici di Rota, pur condividendo vita e aspirazioni della Nação.
Altri si integrarono e finirono con l’ottenere titoli nobiliari.
Nella maggior parte si presentarono come ebrei e fondarono la Nazione
di Pisa e di Livorno con il privilegio di non essere chiusi in ghetto
e poter acquistare proprietà immobiliare. A Livorno si costituì,
a partire dalla fine del Cinquecento, una delle comunità sefardite
più dense e vivaci d’Europa. Gli ebrei mercanti e imprenditori
si dedicarono ai commerci, producevano ed esportavano merci come il
corallo e importavano nuovi generi di consumo come il tabacco, promossero
l’attività di una stamperia a caratteri ebraici e stabilirono
reti mercantili e intellettuali a largo raggio.
Non sempre il ruolo economico e la protezione granducale furono sufficienti
a preservare nuovi cristiani ed ebrei dagli attacchi dell’Inquisizione.
Il ritorno al giudaismo fu anzi irto di ostacoli e forti pressioni
spinsero ad aderire al cattolicesimo, come testimoniano alcuni percorsi
“esemplari”. Notevole, d’altro canto, è l’attrazione
verso la cultura europea: lo dimostra il catalogo della biblioteca
dell’ebreo Giuseppe Attias (1669-1739), ricca di oltre 1300
titoli, molti dei quali all’Indice.
I documenti tratti dagli archivi toscani e da quelli dell’Inquisizione
permettono di cogliere uomini e donne alle prese con i problemi dell’integrazione
e della coesistenza. Ne deriva un quadro denso, mosso e variegato,
della Nazione di Livorno, studiata anche nelle sue tensioni interne
e nei rapporti con i poteri civili e religiosi.
Lucia Frattarelli Fischer collabora
con il Dipartimento di Storia dell’Università di Pisa
anche come membro del Centro Interdipartimentale di Studi Ebraici
(CISE). Si è occupata dell’insediamento di minoranze
non cattoliche (Armeni, Greci, Ebrei) nel porto franco di Livorno
e in Toscana. Ha pubblicato studi di storia urbana e sociale in «Quaderni
Storici», «Storia Urbana», «Società
e Storia», in Atti di Convegni nazionali e internazionali. Socia
della Società Storica Pisana, della Società per lo studio
della storia moderna (SISEM), della Società di Demografia Storica
(SIDeS), della Associazione Italiana per lo studio del giudaismo (AISG),
della Associazione Livornese di Storia Lettere e Arti, è nel
Comitato scientifico e nel Comitato redazionale di «Nuovi Studi
Livornesi».
15 x 21 cm - 384 pp. - ISBN 9788871581620
- Euro 30,00
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LABORATORIO
DI STUDI STORICI SUL PIEMONTE E GLI STATI SABAUDI
Luisa Clotilde Gentile
Riti ed emblemi
Processi di rappresentazione del potere principesco
in area subalpina
(XIII-XVI secc.)
Negli ultimi secoli del medioevo i conti e duchi di Savoia, i principi
di Savoia Acaia signori del Piemonte, i marchesi di Monferrato e
di Saluzzo rappresentarono in maniera differente il proprio potere
per via emblematica e cerimoniale, entro un contesto regionale sito
tra le Alpi e la pianura padana occidentale, favorevole per sua
natura a contatti e scambi. Modelli e codici d’espressione
furono attinti dalla cultura cortese e cavalleresca internazionale
e declinati secondo il diverso peso economico e politico, le congiunture
e le personalità di singoli principi; il tutto entro quel
processo generale di costruzione e consolidamento dello Stato, cui
la medievistica d’Oltralpe riconduce ormai da tempo il discorso
sull’espressione simbolica del potere principesco. Facendo
mostra di duttilità e capacità d’innovazione
a fronte dei momenti di crisi, i principi di quest’area geografica
si servirono di cerimonie ed emblemi per esprimere la legittimità
del proprio potere – in riferimento all’Impero o in
continuità con tradizioni politiche più antiche –,
la successione dinastica, la sacralità della propria persona,
le relazioni con le aristocrazie e le comunità, i rapporti
d’intesa o conflitto con potenze vicine quali i principi francesi
o i duchi di Milano. A riprova della loro validità sulla
lunga durata, le forme della rappresentazione sarebbero sopravvissute
a grandi linee sino all’età moderna.
Luisa Clotilde Gentile, dottore di ricerca in
Storia medievale presso l’Università di Torino e l’Université
de Savoie (Chambéry) e archivista storica, si occupa di corti
e aristocrazie alla fine del medioevo in Piemonte e in Savoia e
dei vari ambiti della rappresentazione rituale ed emblematica (araldica,
sigillografia, cerimoniale). Ha pubblicato il volume Araldica
saluzzese. Il Medioevo (Cuneo, 2004) e curato L’affermarsi
della corte sabauda. Dinastie, poteri ed élites in Piemonte
e Savoia fra tardo medioevo e prima età moderna (Torino
2006, insieme a P. Bianchi, in questa stessa collana); ha curato
inoltre cataloghi di mostre, tra cui «Gentilhuomini christiani
e religiosi cavalieri». Nove secoli dell’Ordine di Malta
in Piemonte (Torino 2000, insieme a T. Ricardi di Netro).
“Corti e principi fra Piemonte e Savoia”, 2
15 x 21 cm - 292 pp. + 48 di tavole f.t. -
ISBN 9788871581545 - Euro 36,00
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Fabio
L. Grassi
L’Italia e la questione
turca (1919-1923)
Opinione pubblica e politica
estera
Alla fine della prima guerra mondiale, le potenze
alleate vincitrici si trovarono a dover risolvere il problema dell’impero
ottomano in disfacimento. Tra esse, anche l’Italia si apprestò
a godere in Turchia dei frutti della vittoria. Ma le cose andarono
molto diversamente. Questo libro racconta quale fu, all’esterno,
il ruolo dell’Italia nell’azione politico-diplomatica
alleata nei confronti della Turchia e come, all’interno, il
perseguimento e il fallimento delle ambizioni orientali contribuì
all’ascesa del fascismo. L’autore fa costante riferimento,
nel ricostruire la vicenda, a quanto pubblicato sulla stampa italiana
contemporanea. Illustra così con quali presupposti ideologici
e culturali i più rappresentativi e influenti organi di informazione
di quell’epoca abbiano trattato la questione, contribuendo alla
riflessione sul grado di cultura politica e sulla capacità
di intervento, di sollecitazione e di critica delle forze che in quell’epoca
riflettevano e formavano le idee degli italiani.
Fabio L. Grassi è dottore
di ricerca in Storia dell’Italia contemporanea; insegna Storia
contemporanea presso l’Università Yildiz di Istanbul.
Ha pubblicato saggi e articoli, prevalentemente sulla storia turca
moderna e contemporanea, tra cui La strana alleanza: Turchia kemalista
e Russia sovietica, 1919-1922 (1989), Il kemalismo: un’esperienza
fuori dagli schemi (1991), Atatürk. Il fondatore della
Turchia moderna (2008).
15 x 21 cm - 272 pp. - ISBN 88-7158-055-9 -
Euro 24,00
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L’insegnamento
di Auschwitz. Pensieri e linguaggi contro l’oblio
Gli interventi al convegno “Quel che resta di Auschwitz”
hanno sollevato le domande cruciali sul rapporto che intercorre
tra il passato, lo studio storico, le memorie e i linguaggi interdisciplinari
con cui si confronta la nostra società ma, soprattutto, la
scuola. Gli ultimi testimoni diretti degli eventi vanno scomparendo,
i temi e le modalità di trasmissione sempre più si
affidano alla rappresentazione figurata e le arti visive, così
come il cinema, il teatro, la musica e la letteratura divengono
la nuova espressione della coscienza, a supporto della storiografia.
In cosa consiste oggi l’“eredità di Auschwitz”,
in un’epoca in cui il senso del tempo e il significato delle
cose si basano essenzialmente sulla comunicazione veloce compiuta
dai mezzi di informazione? Quale rapporto intercorre tra quel passato
e le memorie che negli anni sono andate definendosi? E ancora, possiamo
individuare il sottile filo rosso che separa mitologia, strumentalizzazione
e coscienza civile riguardo al genocidio ebraico? Si tratta di domande
accompagnate dalla consapevolezza che il tema della Shoah ha carattere
fortemente emotivo ed è veicolo di un dibattito politico
e religioso all’interno della società in generale e
di quella ebraica in particolare.
Nel volume:
Foglie d’autunno Sarah Kaminski
Premessa Alberto Cavaglion
Ancora sul Giorno della Memoria. Chi ricorda chi Marco
Brunazzi
Auschwitz, la memoria e il presente Stefano Levi Della
Torre
Primo Levi antropologo. Istruzioni per il corretto uso della
memoria Ernesto Ferrero
Il futuro della memoria. 65 anni dopo la liberazione del campo
di sterminio di Auschwitz Barbara Distel
Dare corpo all’assenza. I testimoni del non-provato
Raffaella Di Castro
L’antisemitismo di carta Daniele Rocca
La nota dolente. Come insegnare la Shoah attraverso la musica
Maria Teresa Milano
Una questione di genere Claudio Gaetani
Abitare le emozioni per ricordare. L’esperienza del progetto
di teatro della memoria a cura di Francesca Guglielmino e Roberto
Nigrone
C’è una conclusione? La storia delle memorie e
i linguaggi dei silenzi Claudio Vercelli
Percorso bibliografico a cura di Claudio Vercelli
Bibliografia. Saggistica a cura di Claudio Vercelli e Sarah
Kaminski
Bibliografia. Narrativa a cura di Sarah Kaminski
Musicografia a cura di Maria Teresa Milano
Il cinema e la Shoah. Filmografia scelta e ragionata a
cura di Claudio Gaetani
15 x 21 cm - 140 pp. - ISBN 9788871581736 - Euro 16,00
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Fabio
Levi (a cura di)
L’ebreo in oggetto
L’applicazione della
normativa antiebraica a Torino (1938-1943)
La spinta dall’alto alla persecuzione degli ebrei
nell’Italia fascista pervase via via le istituzioni e la società
per il tramite delle leggi, di un gran numero di circolari e disposizioni
amministrative. Il libro descrive come la legislazione e la regolamentazione
“razziale” venne recepita e applicata.
Nel volume:
Fabio Levi, Il censimento antiebraico
del 22 agosto 1938 Daniela Adorni, Modi
e luoghi della persecuzione (1938-1943) Giuseppe Genovese,
Profilo quantitativo del gruppo ebraico torinese nel 1938
Fabio Levi, Il signor questore e gli ebrei. Dalle relazioni
periodiche del questore di Torino al capo della Polizia (1938-1942)
Liliana Picciotto Fargion, Gli ebrei di Torino
deportati: notizie statistiche (1938-1945).
Fabio Levi insegna Storia contemporanea
all’Università di Torino ed è direttore del Centro
Internazionale di Studi Primo Levi. Ha pubblicato fra l’altro:
L’idea del buon padre. Il lento declino di un’industria
familiare (1984); Un mondo a parte. Cecità e conoscenza
in un istituto di educazione (1940-1975), seconda edizione Torino,
1997; Le case e le cose. La persecuzione degli ebrei torinesi
nelle carte dell’EGELI. 1938-1945 (1998); I ventenni
e lo sterminio degli ebrei. Le risposte a un questionario proposto
presso la Facoltà di Lettere di Torino (1999); Auschwitz,
il presente e il possibile. Dialoghi sulla storia tra infanzia e adolescenza
(2004, con Maria Bacchi); In viaggio con Alex. La vita e gli incontri
di Alexander Langer (2007). Per le edizioni Zamorani ha pubblicato
inoltre L’identità imposta. Un padre ebreo di fronte
alle leggi razziali di Mussolini (1996); Dodici lezioni sugli
ebrei in Europa. Dall’emancipazione alle soglie dello sterminio
(2003); La persecuzione antiebraica. Dal fascismo al dopoguerra
(2009) e ha curato i volumi C’era una volta la guerra. Racconti
e immagini degli anni 1935-1945 (2002, con Sonia Brunetti); Il
mondo di Marcello (2006, con Alice Rolli).
15 x 21 cm - 208 pp. - ISBN 88-7158-007-9 -
Euro 18,00
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Fabio
Levi
L’identità
imposta
Un padre ebreo di fronte
alle leggi razziali di Mussolini
“Salvo così la mia famiglia”.
Con queste parole, lasciate scritte nel messaggio alla moglie e ai
figli, si congedava Emilio Foà, funzionario dell’Unione
industriale di Torino, suicida il 4 maggio 1939. Per il regime fascista
l’ascendenza ebraica era diventata una colpa incancellabile:
non aveva scampo neppure chi da tempo si era allontanato dalla tradizione
dei padri e si vedeva imporre improvvisamente un’identità
in cui stentava ormai sempre più a riconoscersi. Il libro descrive
i percorsi di vita di Emilio Foà e del fratello Arturo, fra
vicende pubbliche e famigliari. Sulla base di un’attenta ricostruzione
storica e dando ampio spazio nella narrazione al linguaggio diretto
e coinvolgente dei documenti, esso ripercorre tutto il periodo che
va dall’ultimo scorcio dell’Ottocento fino ai drammatici
anni delle persecuzioni antisemite culminate nelle deportazioni e
a quelli, pieni di speranze e di contraddizioni, dell’immediato
dopoguerra.
Fabio Levi insegna Storia contemporanea all’Università
di Torino ed è direttore del Centro Internazionale di Studi
Primo Levi. Ha pubblicato fra l’altro: L’idea del
buon padre. Il lento declino di un’industria familiare
(1984); Un mondo a parte. Cecità e conoscenza in un istituto
di educazione (1940-1975), seconda edizione Torino, 1997; Le
case e le cose. La persecuzione degli ebrei torinesi nelle carte dell’EGELI.
1938-1945 (1998); I ventenni e lo sterminio degli ebrei.
Le risposte a un questionario proposto presso la Facoltà di
Lettere di Torino (1999); Auschwitz, il presente e il possibile.
Dialoghi sulla storia tra infanzia e adolescenza (2004, con Maria
Bacchi); In viaggio con Alex. La vita e gli incontri di Alexander
Langer (2007). Per le edizioni Zamorani ha pubblicato inoltre
L’ebreo in oggetto (1991); Dodici lezioni sugli
ebrei in Europa. Dall’emancipazione alle soglie dello sterminio
(2003); La persecuzione antiebraica. Dal fascismo al dopoguerra
(2009) e ha curato i volumi C’era una volta la guerra. Racconti
e immagini degli anni 1935-1945 (2002, con Sonia Brunetti); Il
mondo di Marcello (2006, con Alice Rolli).
Recensioni alle pagine
www.jstor.org/stable/41287119
http://www.silvanacalvo.ch/DD%20RECENSIONI%20E%20SCHEDE/23%20RECENSIONI%20E%20SCHEDE%20-%20c%20Levi%20Fabio/23%20c%2004%20Identita%20imposta.htm
15,5 x 21 cm - 216 pp. - ISBN 88-7158-049-4
- Euro 20,00
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Fabio
Levi
Un
mondo a parte
Cecità
e conoscenza in un istituto di educazione (1940-1975)
Nella prima parte il libro analizza il processo che,
a partire dal XVIII secolo, ha condotto in Europa al superamento della
concezione pre-moderna di cecità, sul piano sociale e su quello
filosofico, con l’affermarsi di speciali pedagogie e lo sviluppo
degli istituti per ciechi, in relazione al rinnovamento delle teorie
e dei sistemi educativi tra il Settecento e il Novecento. La seconda
parte è dedicata all’Istituto per i ciechi di Torino:
sulla base dei documenti d’archivio e di numerose testimonianze
dirette, vengono descritte le pratiche pedagogiche adottate per tutto
il secondo dopoguerra e le esperienze dei ragazzi ricoverati. Più
in generale, lo studio offre spunti di riflessione su come la cecità
influisca, a seconda degli individui e delle diverse situazioni, sul
modo di conoscere il mondo circostante e sui rapporti con gli altri.
Fabio Levi insegna Storia contemporanea all’Università
di Torino ed è direttore del Centro Internazionale di Studi
Primo Levi. Ha pubblicato fra l’altro: L’idea del
buon padre. Il lento declino di un’industria familiare
(1984); Le case e le cose. La persecuzione degli ebrei
torinesi nelle carte dell’EGELI. 1938-1945 (1998);
I ventenni e lo sterminio degli ebrei. Le risposte a un questionario
proposto presso la Facoltà di Lettere di Torino (1999);
Auschwitz, il presente e il possibile. Dialoghi sulla storia tra
infanzia e adolescenza (2004, con Maria Bacchi); In viaggio
con Alex. La vita e gli incontri di Alexander Langer (2007).
Per le edizioni Zamorani ha pubblicato inoltre L’ebreo in
oggetto (1991); L’identità imposta. Un padre
ebreo di fronte alle leggi razziali di Mussolini (1996); Dodici
lezioni sugli ebrei in Europa. Dall’emancipazione alle soglie
dello sterminio (2003); La persecuzione antiebraica. Dal
fascismo al dopoguerra (2009) e ha curato i volumi C’era
una volta la guerra. Racconti e immagini degli anni 1935-1945 (2002,
con Sonia Brunetti); Il mondo di Marcello (2006, con Alice Rolli).
15 x 21 cm -
240 pp. - ISBN 8871580583
- Euro 24,00
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Fabio
Levi
Dodici
lezioni sugli ebrei in Europa
Dall’emancipazione
alle soglie dello sterminio
In una forma agile ed essenziale il libro descrive lo
sviluppo del rapporto fra ebrei e società di maggioranza nei
diversi stati d’Europa dal Settecento alle soglie dello sterminio
nazista. Vengono così proposte all’attenzione del lettore
le diverse facce del processo di integrazione e di differenziazione
del mondo ebraico, sollecitato a reagire e ridefinirsi da una realtà
in rapido mutamento e attraversata nel corso del tempo da profonde
contraddizioni: fra volontà di emancipazione e nuove forme
di discriminazione, fra spinte alla secolarizzazione e tendenze a
riaffermare il ruolo pervasivo della religione, fra democrazie dell’Ovest,
autocrazie dell’Est e nuove tendenze totalitarie.
Fabio Levi insegna Storia contemporanea all’Università
di Torino ed è direttore del Centro Internazionale di Studi
Primo Levi. Ha pubblicato fra l’altro: L’idea del
buon padre. Il lento declino di un’industria familiare
(1984); Le case e le cose. La persecuzione degli ebrei
torinesi nelle carte dell’EGELI. 1938-1945 (1998);
I ventenni e lo sterminio degli ebrei. Le risposte a un questionario
proposto presso la Facoltà di Lettere di Torino (1999);
Auschwitz, il presente e il possibile. Dialoghi sulla storia tra
infanzia e adolescenza (2004, con Maria Bacchi); In viaggio
con Alex. La vita e gli incontri di Alexander Langer (2007).
Per le edizioni Zamorani ha pubblicato inoltre L’ebreo in
oggetto (1991); L’identità imposta. Un padre
ebreo di fronte alle leggi razziali di Mussolini (1996); La
persecuzione antiebraica. Dal fascismo al dopoguerra (2009) e
ha curato i volumi C’era una volta la guerra. Racconti e
immagini degli anni 1935-1945 (2002, con Sonia Brunetti); Il
mondo di Marcello (2006, con Alice Rolli).
15 x 21 cm - 148
pp. ISBN 8871581148 Euro 18,00
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Fabio
Levi
La
persecuzione antiebraica
Dal
fascismo al dopoguerra
I saggi contenuti nel libro e in parte inediti sono stati scritti
nel corso degli ultimi dieci anni. Essi costituiscono lo sviluppo
e l’approfondimento di ricerche condotte dall’autore
sin dalla fine degli anni ’80, dal momento cioè in
cui finalmente le persecuzioni antiebraiche in Italia e in Europa
hanno cominciato ad assumere anche nel nostro paese una nuova centralità
nell’attenzione degli studiosi e nel dibattito pubblico.
I testi raccolti offrono nel loro insieme un percorso di lettura
articolato e ricco di spunti spesso inediti delle vicende vissute
dal mondo ebraico italiano fra gli ultimi anni ’30 e il periodo
immediatamente successivo alla Liberazione.
In una prima parte si tracciano a grandi linee i caratteri della
relazione fra ebrei e società di maggioranza nella storia
dell’Italia unitaria, per poi delineare i passaggi principali
della persecuzione fra ’38 e ’45. A questo si aggiungono
alcuni approfondimenti sul contesto internazionale, su temi come
la visibilità degli ebrei nella realtà politica e
sociale del nostro paese o sul dibattito storiografico degli ultimi
anni.
Un secondo gruppo di saggi mette in relazione la storia degli ebrei
– da quelli apertamente schierati con il regime agli oppositori
più strenui del fascismo – in una realtà specifica
come Torino con il più generale contesto europeo, visto da
angolature poco studiate sinora come la vicenda dei coniugi di matrimonio
“misto” o il trattamento riservato dalla Svizzera ai
perseguitati in fuga.
L’ultima parte guarda al dopo, considerando il tema della
memoria e presentando vicende emblematiche quali il difficile rientro
dei professori ebrei cacciati dalle Università nel 1938 o
quelle non meno complesse relative alle restituzioni dei beni sottratti
ai perseguitati.
Complessivamente il libro offre un punto di vista organico sulla
storia delle persecuzioni antiebraiche in Italia, così come
l’autore lo ha via via sviluppato nel corso di un lungo lavoro
di ricerca e curando nello stesso tempo la pubblicazione di lavori
realizzati da altri studiosi proprio nella stessa collana presso
cui trova, non a caso, la propria collocazione anche questo volume.
Fabio Levi insegna Storia contemporanea all’Università
di Torino ed è direttore del Centro Internazionale di Studi
Primo Levi. Ha pubblicato fra l’altro: L’idea del
buon padre. Il lento declino di un’industria familiare
(1984); Le case e le cose. La persecuzione degli ebrei
torinesi nelle carte dell’EGELI. 1938-1945 (1998);
I ventenni e lo sterminio degli ebrei. Le risposte a un questionario
proposto presso la Facoltà di Lettere di Torino (1999);
Auschwitz, il presente e il possibile. Dialoghi sulla storia
tra infanzia e adolescenza (2004, con Maria Bacchi); In
viaggio con Alex. La vita e gli incontri di Alexander Langer (2007).
Per le edizioni Zamorani ha pubblicato inoltre L’ebreo
in oggetto (1991); L’identità imposta. Un
padre ebreo di fronte alle leggi razziali di Mussolini (1996);
Dodici lezioni sugli ebrei in Europa. Dall’emancipazione
alle soglie dello sterminio (2003); e ha curato i volumi C’era
una volta la guerra. Racconti e immagini degli anni 1935-1945 (2002,
con Sonia Brunetti); Il mondo di Marcello (2006, con Alice Rolli).Bacchi
- 2004); In viaggio con Alex. La vita e gli incontri di Alexander
Langer (2007).
15 x 21 cm - 204 pp. - ISBN 9788871581767 - Euro 18,00
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COLLANA DELL’ARCHIVIO
EBRAICO BENVENUTO E ALESSANDRO TERRACINI
Fabio Levi (a cura di)
Gli ebrei e l’orgoglio
di essere italiani.
Un ampio ventaglio di posizioni fra ’800 e primo ’900
Il libro, pensato in forma di antologia, intende offrire uno sguardo
articolato sul rapporto fra mondo ebraico e processo di costruzione
dello Stato unitario a partire dal Risorgimento, mostrando vari
modi di sentire e presentare l’affezione per la patria italiana
frutto di condizioni storiche, sociali e individuali diversissime,
ma pur sempre confrontabili fra di loro per il fatto di essere situati
nel quadro di un processo comune e di avere tutti uno stesso retroterra
ebraico. Per Samuel David Luzzatto (Shadal), David Levi, Flaminio
Servi, Luigi Luzzatti e Amelia Rosselli a ognuno dei quali, dopo
l’introduzione di Fabio Levi, dedicano un saggio – seguito
da un’ampia serie di brani tratti dai loro scritti –
rispettivamente Gadi Luzzatto Voghera, Francesca Sofia, Carlotta
Ferrara degli Uberti, Ilaria Pavan e Tullia Catalan, molto diverso
è il rapporto con la tradizione e la religione dei padri
non meno che con le culture e le condizioni del momento; proprio
per questo però si tratta di esperienze che esemplificano
in modo straordinariamente vivo la ricchezza dell’incontro
fra culture che si realizza in coincidenza con la nascita dell’Italia
contemporanea.
Nel volume:
Introduzione Fabio Levi
Samuel David Luzzatto Gadi Luzzatto Voghera
David Levi Francesca Sofia
Flaminio Servi Carlotta Ferrara degli Uberti
Luigi Luzzatti Ilaria Pavan
Amelia Rosselli Tullia Catalan
Parole chiave: Ebrei e risorgimento;
ebrei e unità d’Italia; ebrei e prima guerra mondiale;
ebrei e fascismo; ebrei e antifascismo; ebrei e interventismo; ebrei
ed emancipazione; ebrei e nazionalismo; ebrei e sionismo; assimilazione;
emancipazione; Luzzatti Luigi; Luzzatto Samuel David; Servi Flaminio;
Rosselli Amelia; Levi David; fratelli Rosselli; scuola rabbinica
di Padova; Shadal
15 x 21 cm - 168 pp. - ISBN 9788871581880
- Euro 20,00
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Fabio
Levi, Alice Rolli (a cura di)
Il
mondo di Marcello. Operaio per scelta nella Torino del ’68
Il mondo
di Marcello, descritto nel libro attraverso piccoli frammenti documentari
e illuminato da brevi squarci storici, si estende dall’Italia
delle leggi contro gli ebrei del 1938 all’Argentina di Perón
e, dopo, dei desaparecidos, passando per Londra, la Tunisia
e la Calabria. Ma il suo centro è la Torino del lungo sessantotto
che vede sollevarsi prima gli studenti e poi gli operai ammassati
in città dalle esigenze produttive della Fiat. Lui, Marcello
Vitale, è un ragazzo di buona famiglia, intelligente, determinato.
Partecipa alle lotte nella sua scuola e all’esperienza politica
di Lotta Continua. È fra i pochissimi a decidere nel ’73
di andare a lavorare in fabbrica per condividere la realtà
esistenziale e le speranze della classe operaia. È orgoglioso
di conquistare giorno per giorno una vita diversa, interpretando in
modo originale le idee diffuse fra molti della sua generazione. Gli
piacciono la musica, la matematica e vive con Roberta le gioie e le
difficoltà di un modo più libero di misurarsi con le
cose di tutti i giorni.
15 x 21 cm - 176 pp. - interamente illustrato
- ISBN 88-7158-144-X - Euro 14,00
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Enrico
Luzzati (a cura di)
Dalla
parte degli ultimi. Padre Prosperino in Mozambico
Questo libro in memoria di Padre Prosperino, ideato
da Enrico Luzzati, raccoglie le testimonianze di amici, religiosi,
collaboratori che gli sono stati vicini nelle fasi della sua vita.
Padre Prosperino è stato un uomo generoso e totalmente dedito
al prossimo. Scelse di lasciare la sua terra natia, la Basilicata,
per prendere la strada della missione, che lo condusse in Mozambico.
La sua fede religiosa fu la sorgente costante della sua instancabile
energia, ma di fronte ai problemi drammatici della povertà
in Africa, egli decise che prima di tutto si doveva ridare dignità
alle persone, preoccupandosi di dare loro da mangiare, vestire ed
abitare, di offrire istruzione e sanità. Maturò così
la sua scelta radicale, che lo portò a vivere direttamente
al servizio dei più poveri, anzi dei più poveri tra
i poveri, le donne spesso abbandonate o maltrattate dai loro mariti.
Accanto a loro egli avviò la più straordinaria delle
sue iniziative, la creazione di quella che sarebbe diventata, nel
giro di 20 anni, una delle maggiori cooperative africane.
Le voci del testo evocano, insieme alla grandezza dell’uomo,
al suo instancabile operare, allo slancio ideale che guidò
l’espansione delle attività cooperative, anche le difficoltà
della sua ambiziosa costruzione. Confidiamo che la sincerità
nel ricordare, la pluralità delle voci e dei giudizi, consegnino
al lettore un’immagine vera e viva di padre Prosperino, come
ci era caro.
Nel volume:
Introduzione Enrico Luzzati L’altra
Africa Cristoforo Magistro Il periodo in Zambézia
Padre Francesco Monticchio Gli anni di Maputo Enrico Luzzati
Interviste e testimonianze: Intervista
a Celina Cossa - Intervista a Ismail Ossemane - Testimonianza
di Yussuf Adam - Testimonianza di Rocco Di Cillo - Testimonianza di
Giuseppe Bartolomeo (Padre Fedele) - In ricordo di Padre
Prosperino Walter Veltroni
Biografia di Padre Prosperino Gallipoli
Il Mozambico negli ultimi cinquant’anni
15 x 21 cm 136 pp. + 48 tavole e una cartina
- ISBN 9788871581675 - Euro 14,00
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Bruno
Maida
Dal
ghetto alla città
Gli ebrei torinesi nel secondo
Ottocento
Questo libro offre un’immagine nuova e ricca
di numerose sfaccettature degli ebrei di Torino nella seconda metà
dell’Ottocento. La ricerca era particolarmente difficile perché
l’archivio della Comunità ebraica è stato distrutto
da un bombardamento nel 1942. Ciò nonostante l’autore,
valendosi di un gran numero di altre fonti, è riuscito a ricostruire
un quadro articolato delle istituzioni comunitarie, delle attività
economiche, delle idee che sostennero le strategie di emancipazione
e di ascesa sociale degli ebrei dopo l’emancipazione del 1848.
Nel delineare la specificità del caso torinese, il libro rappresenta
un contributo di rilievo alla storia del rapporto fra gli ebrei e
la società italiana dell’Ottocento.
Bruno Maida svolge attività
di ricerca presso il Dipartimento di Storia dell’Università
di Torino. Ha pubblicato Il futuro spezzato. Il nazismo contro
i bambini (Firenze, 1997) con Lidia Beccaria Rolfi; Il prezzo
dello scambio. Commercianti a Torino (Torino, 1998); Prigionieri
della memoria. Storia di due stragi della Liberazione (Milano,
2002); La stampa del regime. Le veline del Minculpop per orientare
l’informazione (Milano, 2005), con Nicola Tranfaglia; Proletari
della borghesia. I piccoli commercianti dall’Unità a
oggi (Roma, 2009); La Shoah dei bambini. La persecuzione
dell’infanzia ebraica in Italia 1938-1945 (2013). Per le
edizioni Zamorani ha curato con Giovanni
Carpinelli Memoria e deportazione. Scritti di Federico Cereja
(Torino, 2008).
15,5 x 21 cm - XVII-375 pp. - ISBN 88-7158-091-5
- Euro 30,00
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Frida
Malan e il segno del suo tempo
a cura di Mina Radeschi
Personalità originale e di singolare valore umano nel mondo
politico e culturale piemontese, Frida Malan ha incarnato le molte
stagioni di un impegno etico-civile, sempre coerente nel travaglio
di un’epoca tormentata. Coraggiosa antifascista combattente,
insegnante, politicamente attiva prima nel Partito d’Azione
e poi sino alla morte nel Partito socialista, eletta per tre volte
nel Consiglio comunale di Torino e quindi assessore per anni all’Igiene
e Sanità e successivamente al Patrimonio e Lavori Pubblici,
portò nel suo agire l’impronta di una sensibilità
umana e culturale affatto particolare. Si distinguevano le sue forti
radici morali evangelico-protestanti, peraltro abbinate ad un impegno
rigorosamente laico, e la vivace sintonia con il nascente movimento
delle donne.
Sono qui raccolti una serie di contributi e di testimonianze, corredate
da un’antologia degli interventi nel Consiglio comunale torinese,
che offrono un ritratto sintetico ma di notevole interesse storico.
Nel volume:
Sabrina Gambino Cericola Premessa Mina Radeschi Frida
Malan: le ragioni di una ricerca Ersilia Ricatti Lisi Presentazione.
Frida e la Commissione Regionale Pari Opportunità (CRPO)
Marco Brunazzi Prefazione
Parte Prima. Il contesto storico-politico. La vita pubblica
di Frida Malan
Caterina Simiand Frida: la Resistenza è donna Ottavia
Mermoz L’impegno sociale e politico per una società
paritaria Claudio Bellavita La politica a Torino negli
anni del boom Ivetta Fuhrmann Frida Malan, insegnante Piera
Egidi Bouchard Una cristiana indipendente
Parte Seconda. Le tante anime di Frida Malan attraverso le parole
degli altri. Tra Consiglio comunale e impegno assessorile
Alessia Martelliano Frida attraverso i racconti
Interviste e testimonianze a cura di Mina Radeschi e Alessia
Martelliano: Testimonianza di Mirella Antonione Casale - Intervista
a Sergio Pistone - Testimonianza di Carla Spagnuolo - Intervista
a Annibale Crosignani - Testimonianza di Mirella Argentieri Bein
- Testimonianza di Marziano Marzano - Testimonianza di Liliana Ponsero
- Testimonianza di Graziella Ansaldi Fresia - Intervista a Luigi
Sergio Ricca - Intervista a Giuseppina (detta Pinin) Restellini
- Intervista a Giovanni Caracciolo - Testimonianza di Maddalena
Rigat - Intervista a Giovanni Picco
Parte Terza. Antologia
Mina Radeschi - Stefano Scabellone Introduzione all’Antologia
IV Tornata Amministrativa 1960-1964 - V Tornata Amministrativa 1964-1970
- VI Tornata Amministrativa 1970-1975
Indice dei nomi
288 pp. + 16 pp. di tavole fuori testo in b/n - ISBN 9788871581774
- Euro 28,00
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LABORATORIO
DI STUDI STORICI SUL PIEMONTE E GLI STATI SABAUDI
Andrea Merlotti (saggio introduttivo e cura
di)
Il silenzio e il servizio
Le «Epoche principali
della vita» di Vincenzo Sebastiano Beraudo di Pralormo
Vincenzo Sebastiano Beraudo di Pralormo (1721-1783),
protagonista di questo libro, fu un tipico esponente di quella nobiltà
di servizio, tradizionalmente considerata una delle componenti principali
del secondo stato nei domini sabaudi d’Antico regime. La sua
famiglia, anzi, con sette generazioni ininterrotte di funzionari fra
Sei ed Ottocento, può esser vista come un esempio quasi da
manuale di tale nobiltà. Dal 1760 Pralormo fu tra i principali
realizzatori dell’azione riformatrice di Carlo Emanuele III
e del ministro Bogino. Da un lato egli ideò e guidò
l’Azienda ponti e strade, costruendo la rete d’infrastrutture
vitale per un Piemonte che usciva da decenni di guerre. Dall’altro
realizzò il censimento delle province «di nuovo acquisto»
(conquistate al Ducato di Milano nella prima metà del Settecento),
che riprendeva la grande tradizione dei catasti amedeani, saldandoli
con l’esperienza lombarda di Pompeo Neri (cui, anzi, Pralormo
guardò direttamente). Alla caduta di Bogino, nel 1773, Pralormo,
forte della sua indiscussa abilità, continuò a ricevere
importanti compiti tecnici – come la stesura del Regolamento
dei pubblici (legge quadro dell’ordinamento comunale dello
Stato) e la realizzazione del censimento del Monferrato –, ma
non ebbe incarichi politici. A fronte di questa situazione, egli scrisse
le Epoche principali della vita di me. Si tratta d’una
sorta di autobiografia ideale, destinata ai propri discendenti, che,
in un complesso gioco di silenzi e sottointesi, costituisce una preziosa
e inedita testimonianza sul Piemonte degli ultimi decenni dell’Antico
regime.
Andrea Merlotti, PhD in Storia della
società europea presso l’Università degli studi
di Torino, dove ha anche svolto attività di post-dottorato
e d’assegnista di ricerca, è attualmente responsabile
dell’Ufficio studi della Reggia di Venaria Reale. È autore
di lavori sulla storia dei ceti dirigenti dello Stato sabaudo (L’enigma
delle nobiltà. Stato e ceti dirigenti nel Piemonte del Settecento,
Firenze, 2000). Su tale tema ha inoltre curato Nobiltà
e Stato in Piemonte. I Ferrero d’Ormea (Torino, 2003).
È stato fra i curatori de La Reggia di Venaria e i Savoia.
Arte, magnificenza e storia di una corte europea (2007-2008)
e con Alessandro Barbero della mostra Cavalieri. Dai Templari
a Napoleone (2009-2010). Per Zamorani ha curato con Paola Bianchi
Le strategie dell’apparenza. Cerimonie e società
alla corte dei Savoia (Torino, 2010)e ha pubblicato i saggi Disciplinamento
e contrattazione. Dinastia, nobiltà e corte nel Piemonte sabaudo
da Carlo II alla Guerra civile nel volume L’affermarsi
della corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e
Savoia fra tardo medioevo e prima età moderna (Torino,
2006), Una «muta fedeltà»: le cerimonie di
baciamano fra Sei e Ottocento in Le strategie dell’apparenza.
Cerimoniali, politica e società alla corte dei Savoia in età
moderna (Torino, 2010) e Il gran cacciatore di Savoia nel
XVIII secolo nel volume La caccia nello Stato sabaudo. I.
Caccia e cultura (secc. XVI-XVIII) (Torino, 2010).
15 x 21 cm - 256 pp. - ISBN 88-7158-121-0 -
Euro 26,00
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LABORATORIO
DI STUDI STORICI SUL PIEMONTE E GLI STATI SABAUDI
Andrea
Merlotti (a cura di)
Nobiltà e Stato in
Piemonte. I Ferrero d’Ormea
Nel Piemonte d’Antico regime non vi fu un unico
tipo di nobiltà. Il secondo stato, anzi, si declinò
in una pluralità di definizioni di cui nobiltà feudali
e patriziati costituirono solo alcuni casi. In diverse città,
soprattutto del Piemonte meridionale, nel Basso medioevo si costituirono
de facto patriziati che, pur non venendo mai riconosciuti
de jure dalla Corona sabauda, sopravvissero sino al XVIII
secolo. Si tratta, in buona sostanza, di quelle che lo storiografo
seicentesco Francesco Agostino della Chiesa definiva «nobiltà
civili». Di queste uno dei casi più interessanti fu certo
quello monregalese. Nel convegno – svoltosi a Torino e Mondovì
tra il 3 e il 5 ottobre 2001 – di cui questo volume raccoglie
gli atti sono analizzate le vicende della famiglia Ferrero, esponente
del patriziato di Mondovì dal XV al XVIII secolo. Nonostante
sin dall’inizio del Cinquecento diversi suoi esponenti avessero
servito i Savoia a corte e nell’esercito, solo alcuni rami di
essa, alla metà del XVII secolo, erano entrati a far parte
della feudalità sabauda. Nel 1680, anzi, i Ferrero guidarono
la «Guerra del sale», la grande rivolta che contrappose
la Civitas Montisregalis all’assolutismo sabaudo. Nel
XVIII secolo, mentre alcuni rami della famiglia restarono a Mondovì,
un altro si trasferì a Torino, dando a Vittorio Amedeo II ed
a Carlo Emanuele III il più celebre dei loro ministri: Carlo
Vincenzo Ferrero, marchese d’Ormea (1680-1745). Il volume, dopo
i contributi che si occupano dell’attività del ministro,
prosegue l’analisi giungendo sino alla fine del XIX secolo ed
all’inserimento dell’antica famiglia nel Piemonte liberale.
Introduzione di Andrea Merlotti
Saggi di: Paola Bianchi, Anthony L. Cardoza, Patrizia Chierici, Giancarlo
Comino, Paolo Cozzo, Filippo De Pieri, Claudio Donati, Enrico Genta,
Giuseppe Griseri, Giorgio Lombardi, Maria Gattullo, Pierpaolo Merlin,
Andrea Merlotti, Cesare Morandini, Maria Paola Niccoli, Laura Palmucci,
Luciano Pezzolo, Blythe Alice Raviola, Giuseppe Ricuperati, Gian Paolo
Romagnani, Christopher Storrs, Stefania Taranto, Marco Violardo.
15 x 21 cm - 540 pp., con 28 tavole f.t. e 3 cartine - ISBN 88-7158-115-6
- Euro 35,00
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Vita
di Jehudà
Autobiografia di Leon Modena
rabbino veneziano del XVII secolo
Si dica che non facevo parte degli
ipocriti, che il mio interno è come il mio esterno; sono stato
timorato di Dio, mi sono tenuto lontano dal male più in segreto
che in palese e non ho avuto riguardi ad amico o parente e neanche
a me stesso o a ciò che mi poteva esser utile quando si trattava
di quello che mi sembrava fosse la verità...
Predicatore acclamato nelle sinagoghe e additato
come esempio dai sacerdoti nelle chiese, maestro illustre di Torà,
autorità spesso consultata da comunità italiane e straniere
per questioni attinenti alla normativa ebraica, intellettuale aperto
alle proposte della cultura contemporanea, il rabbino veneziano Leon
Modena (1571-1648) può essere considerato l’anello di
congiunzione tra lo spazio chiuso della tradizione rabbinica e la
dimensione fluida e mutevole della società secentesca. Nell’autobiografia
egli non esita a svelare il profondo contrasto di tutta la sua esistenza:
il dissidio di un uomo timorato di Dio ma tormentato dai sensi di
colpa di chi non ha la costanza di aderire pienamente al sistema di
vita nel quale crede fermamente e che la Legge, tante volte commentata
e spiegata al pubblico, gli impone.
La traduzione dall’ebraico, opera di Emanuele
Menachem Artom, è qui presentata a cura di Elena Rossi Artom
e di Ariel Viterbo, corredata dalle note di Daniel Carpi e dall’introduzioone
di Umberto Fortis.
15 x 21 cm - 146 pp. - ISBN 978-88-7158-080-7
- Euro 18,00
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Morris
M. Mottale
Wading Through Conflict. America
and the Middle East
This book outlines and develops the past and contemporary
threads that run through American policies toward the Middle East
at large. The analysis is focused on Washington’s national interests
being set in a context that seeks equilibrium between ideological,
religious, and territorial conflicts in the area. The more critical
and problematic aspects of American foreign policy making derive from
the difficulty of Washington’s decision makers to balance American
strategic and economic interests with ideational values that in turn
clash with the political and religious experiences of the area. As
the prospects of conflict resolution in the Middle East become increasingly
complex, American foreign policy in the area seems to be faced with
ever more critical challenges compounded by terrorism, the Arab-Israeli
conflict, religious cleavages, and political instability confronting
many of the states in the area.
MORRIS M. MOTTALE is professor of International Relations
and Comparative Politics and chair of the Department of Political
Science at Franklin College, Switzerland. His main teaching and research
interests lie in international relations, comparative politics, Middle
Eastern politics, international political economy, strategic studies,
and energy. He has taught in the United States, Canada, and England
and has been a research scholar at universities across North America,
Europe, and the Middle East, including the Harvard Center for Middle
Eastern Studies. His books include The Origins of the Gulf Wars, and
Iran: The Legacy of the Islamic Revolution both published by University
Press of America and Rowman & Littlefield. He is also the author
of several articles and reviews on international and Middle Eastern
politics. He is also a senior research associate at the International
Security Forum in Cyprus and a consultant on international security
and energy. He holds a B.A. and M.A. from San Diego State University
in California and a Ph.D. from York University in Toronto, Canada.
15 x 21 cm - 160 pp. - ISBN 9788871581996 -
Euro 24,00
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Irma Naso
“Magistri, scholares, doctores”.
Il mondo universitario a Torino nel Quattrocento
Il libro ripercorre la storia dell’Università
di Torino dalla fondazione nel 1404 fino all’inizio del secolo
XVI. Alle difficoltà iniziali segue nel pieno Quattrocento
una fase caratterizzata da maggiore dinamismo e stabilità istituzionale,
ma sempre alternando fasi più fortunate a momenti di sensibile
declino. Per i decenni centrali del secolo i documenti segnalano un
incremento del numero delle cattedre che trova riscontro nella crescita
della popolazione studentesca. Quei giovani scolari forestieri trasferiti
nella Torino tardomedievale ne animano con la loro presenza la vita
sociale in vario modo. Ai riti e alle cerimonie di laurea, solenne
palcoscenico per maestri e dottori delle tre facoltà, (diritto,
arti e medicina, teologia) fanno eco le rivendicazioni da parte del
mondo universitario dei tradizionali privilegi fiscali e giuridici.
Con il sostegno del potere signorile gli studenti invocano dall’amministrazione
comunale soluzioni a problemi concreti, come quello dell’ospitalità,
che incessantemente affiora nelle fonti del tempo quale motivo di
contestazioni anche vivaci, quando non violente: problemi dell’università
dei secoli passati, problemi dell’università di oggi.
Irma Naso insegna storia medievale all’Università
di Torino, Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione.
La storia dell’università rientra tra i suoi principali
interessi scientifici, che riguardano anche la storia della medicina
e dell’alimentazione nel tardo medioevo. Dopo alcuni saggi sulle
origini e il primo secolo di attività dello Studium
generale di Torino, editi nel corso degli anni novanta in momenti
successivi e sedi diverse tra le quali la Storia di Torino
(Einaudi, 1997), ha curato il volume Alma felix Universitas Studii
Taurinensis. Lo Studio generale dalle origini al primo Cinquecento
(Università degli Studi di Torino, 2004) per il sesto centenario
dell’Ateneo. Ha poi pubblicato fra l’altro il volume Insignia
doctoralia. Lauree e laureati all’Università di Torino
tra Quattro e Cinquecento (Università degli Studi di Torino,
2008, con P. Rosso). Fa parte del Comitato scientifico della “Rivista
di storia dell’Università di Torino” e del Consiglio
direttivo del Centro per lo studio della storia dell’Università
di Torino - CSSUT.
15 x 21 cm - 166 pp. - ISBN 9788871582146
- Euro 24,00
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Irma Naso (a cura di)
Le parole della frutta.
Storia, saperi, immagini tra medioevo
ed età contemporanea
Argomento di studio abbastanza trascurato dalla storiografia, la
frutta rivela in questo libro l’importante ruolo che essa
assume nei diversi ambiti culturali, indagati in una prospettiva
di lungo periodo. Lo studioso potrà ricavarne suggestioni
e stimoli per nuove e più puntuali ricerche, mentre il lettore
si sorprenderà di trovare risposta a interrogativi e curiosità
intorno alle “storie” della frutta.
Attraverso la voce del pensiero medico-dietetico, delle pratiche
gastronomiche, della letteratura, dell’arte e della scienza,
ma anche attraverso la storia del diritto, della simbologia, della
religiosità, sarà possibile riscoprire il significato
più autentico di un cibo prezioso: un vero “dono della
natura” oggi sempre più spesso sacrificato alle leggi
del mercato.
Dall’indice:
IRMA NASO Frutta tra passato e presente. Ricerche pluridisciplinari
Gli alberi e la storia
ALFIO CORTONESI Produzioni e paesaggi dell’arboricoltura
italiana medievale
GIUSEPPE GULLINO Alberi da frutto negli statuti comunali piemontesi
ALESSANDRO CARASSALE La coltivazione degli agrumi in Liguria
tra tardo medioevo e prima età moderna: varietà e
normative di raccolta
FRANCESCO AIMERITO Frutta e piante da frutto nei bandi politici
e campestri del Piemonte sabaudo
I saperi e la tavola
GABRIELE ARCHETTI «Parvula poma sumebat». Suggestioni
dal mondo monastico
MARILYN NICOUD I medici medievali e la frutta: un prodotto ambiguo
IRMA NASO Frutta e gastronomia. Libri di cucina tra Italia e
Francia nel tardo medioevo
MARÍA DE LOS ÁNGELES PÉREZ SAMPER La fruta
en la corte española de la edad moderna
ALBERTO CAPATTI Pellegrino Artusi: la frutta, le ferrovie, le
conserve
Il racconto e l’immagine
MARINA MONTESANO Frutta avvelenata, frutta stregata
ADA QUAZZA Pomi, fragole, mirtilli… Dai «Tacuina»
ai margini dei libri di preghiera
PAOLO ROSSO Tra immagine e testimonianza. La frutta nella letteratura
tardomedievale e umanistica
AVE APPIANO Frutta e cibi disposti nella natura morta fiamminga
e italiana. Seduzioni estetiche e artifici simbolici
La memoria e la scienza
LAURA PROSPERI Catalogare i pomi nel tardo medioevo. Tracce
di classificazioni pre-scientifiche nella tradizione enciclopedica
latina
TOMMASO ECCHER La Pomologia artificiale e l’opera
di Francesco Garnier Valletti
OSVALDO FAILLA Origine ed evoluzione della biodiversità
nelle specie arboree da frutto
ISABELLA DALLA RAGIONE Archeologia Arborea: ricerca e conservazione
di vecchie varietà di fruttiferi nel Centro Italia, tra storia,
paesaggio e arte
Irma Naso insegna storia medievale presso l’Università
degli Studi di Torino. Ha pubblicato, tra l’altro, vari saggi
in cui la storia dell’alimentazione si intreccia con la storia
della cultura medico-dietetica in età premoderna. Presiede
il Centro per la storia del-l’alimentazione e della cultura
materiale - CeSA.
“Fatta eccezione per la viticoltura, la cui importanza
economica ha da sempre suscitato l’interesse degli studiosi,
la frutta, come soggetto storiografico, non ha per il resto riscosso
molta fortuna, forse anche a causa della penuria di testimonianze
che ne documentino il consumo. Tanto piú meritorio appare
dunque questo volume, che raccoglie gli atti di un recente convegno
sull’argomento, organizzato dal Centro Studi per la Storia
dell’alimentazione e della cultura materiale di Torino, intitolato
alla studiosa Anna Maria Nada Patrone, prematuramente scomparsa.
Grazie al contributo di specialisti appartenenti ad ambiti disciplinari
diversi, viene delineato un quadro multiforme di tematiche, che
affrontano le molteplici chiavi di lettura alle quali l’argomento
si presta. Il volume si divide perciò in quattro sezioni,
ciascuna dedicata a uno dei numerosi settori d’indagine applicabili
alla frutta: quello storico, in primo luogo, comprendente saggi
volti a chiarire le origini e la diffusione delle colture frutticole,
la loro tipologia, la normativa a tutela della produzione edel commercio
e quella concernente le prescrizioni igienico-sanitarie. La seconda
sezione tratta dell’impiego alimentare della frutta, e quindi
della sua utilizzazione in conserve, alimenti e medicine, con implicazioni
riguardanti il pensiero medico-dietetico che, da un lato, considerava
la frutta dannosa come alimento e nociva all’organismo, e,
per altro verso, ne faceva largo impiego nelle confetture medicinali.
I trattati scientifici del tardo Medioevo, infatti, attribuivano
alla maggior parte dei frutti, specie se succosi e zuccherini e
soprattutto se consumati crudi, varie controindicazioni per la loro
facilità a fermentare nello stomaco. Nella realtà
quotidiana, però, i libri di cucina utilizzavano abbondantemente
questo prodotto, cotto e debitamente manipolato, per numerose ricette.
Soprattutto la frutta secca, e le mandorle in particolare, occupavano
un ruolo di primaria importanza nei ricettari medievali, utilizzate
talvolta nella preparazione di salse, talvolta come componente importante
dei piatti di magro, tanto che, durante la Quaresima, si producevano
persino ricotta e burro col latte di mandorle, per non parlare degli
onnipresenti alimenti in pasta di mandorle. Argomenti della terza
parte sono lasimbologia (la mela avvelenata o emblema della tentazione
nel Paradiso terrestre, l’uso simbolico della frutta nella
letteratura medievale eumanistica) e l’iconografia: dai Tacuina
sanitatis lombardi tardo-trecenteschi, in cui è frequente
la raffigurazione di alberi da frutto, ai «libri d’ore»
quattrocenteschi italiani, francesi e fiamminghi, con cornici ricche
di fiori e di frutti dal significato simbolico, o recanti la narrazione
delle attività agricole di ogni mese, alle nature morte fiamminghe
e italiane come meditazione sulla fragilità e transitorietà
dell’esistenza. Il volume si chiude con una quarta e ultima
sezione, in cui il soggetto «frutta» viene analizzato
dal punto di vista scientifico, sviluppandone i vari aspetti: dalla
classificazione vegetale delle specie arboree utilizzate nel Medioevo,
a quelle in vigore nell’età moderna, fino all’epoca
contemporanea, e alla ricerca e e alla ricerca e conservazione delle
varietà frutticole antiche. Vanno segnalate, in particolare,
le pagine dedicate alla coltura del pesco, che, originario della
Cina, si diffuse in Italia dall’epoca romana (I secolo d.C.)”.
Maria Paola Zanoboni, in «Medioevo», febbraio 2013.
17 x 24 cm - 256 pp. - 16 tavole f.t. a colori - ISBN 9788871581941
Euro 36,00
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LABORATORIO
DI STUDI STORICI SUL PIEMONTE E GLI STATI SABAUDI
Paolo
Palumbo
Un
confine difficile
Controversie tra la Repubblica
di Genova e il Regno di Sardegna nel Settecento
Questo volume racconta le controversie di confine
avvenute tra la Repubblica di Genova e lo Stato sabaudo nel corso
del XVIII secolo. L’aggressiva politica estera intrapresa da
Vittorio Amedeo II e proseguita dai suoi successori impresse un senso
nuovo a dispute che spesso avevano già secoli di storia alle
spalle. I sempre più frequenti incidenti alla frontiera liguro-piemontese
furono affrontati così più come affari di Stato che
come questione di carattere puramente locale. Il governo di Torino
fu abile ad utilizzarli per cercare di aprirsi quella via al mare
che dopo l’espansione verso la Lombardia imperiale e l’annessione
della Sardegna avrebbe dato nuovo impulso militare ed economico al
Paese. Da parte sua, il governo di Genova, pur senza metter in discussione
l’ormai tradizionale immobilismo politico, fece tutto quanto
in suo potere per evitare un nuovo sbocco sabaudo sul Mediterraneo
che sarebbe stata una vera e propria tragedia per la Repubblica. Si
trattava, comunque, di una politica puramente difensiva, come avrebbe
mostrato la sconfitta sul tema dei feudi imperiali degli Appennini,
rivendicati ed infine ottenuti da Carlo Emanuele III. La storia è
ricostruita attraverso un’attenta lettura dei fitti carteggi
degli inviati genovesi e sabaudi con i rispettivi governi. In tal
modo viene per la prima volta ricostruita una pagina forse secondaria,
ma certo non priva d’importanza della storia politica dell’Italia
del Settecento.
Paolo Palumbo si è laureato
presso l’Università di Genova con una tesi di storia
militare successivamente pubblicata con il titolo Al fianco della
Francia. I battaglioni di fanteria ligure dal 1797 al 1805. Ha
conseguito il titolo di dottore in ricerca presso l’Università
di Torino sviluppando un tematica legata alle questioni frontaliere
tra la Repubblica di Genova e il Regno di Sardegna nel Settecento.
Lavora in qualità di redattore presso il Consorzio di Valorizzazione
Culturale “La Venaria Reale”.
Collana “Saggi e studi” 2
15 x 21 cm - 224 pp., con due mappe - ISBN
9788871581811 - Euro 25,00
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Alessia
Pedio
Costruire
l’immaginario fascista
Gli
inviati del «Popolo d’Italia» alla scoperta dell’altrove
(1922-1943)
Il «Popolo d’Italia» per il periodo
che va dalla Marcia su Roma al 25 luglio 1943, nella sua veste di
vetrina ufficiale del fascismo, può essere esemplarmente considerato
lo «specchio» di un insieme di questioni: dalle aspirazioni
e dai contenuti della politica culturale del regime alle strategie
messe in atto per creare il consenso nell’opinione pubblica.
Nel libro di Alessia Pedio vengono analizzati, attraverso gli elzeviri
e gli articoli “culturali”, apparsi per lo più
nella terza pagina del giornale, i modelli e i paradigmi più
diffusi nella rappresentazione dell’altro, dell’altrove
e degli italiani stessi. Oltre agli articoli celebrativi della storia
d’Italia sono presi a tal scopo in esame le corrispondenze o
meglio, i reportage narrativi, pubblicati da un nucleo piuttosto articolato
di giornalisti e pubblicisti (fra i principali, Mario Appelius, Mirko
Ardemagni, Luigi Barzini, Franco Ciarlantini, Mario dei Gaslini, Arnaldo
Cipolla, Roberto Suster, Augusta Perricone Violà, Ain Zara
Magno, Pier Luigi Barbato) che si impegnarono nel portare i lettori
italiani a conoscenza di vari luoghi e popoli d’Africa e d’Asia
(con particolare attenzione a India, Cina e Giappone), delle dottrine
e dei sistemi produttivi affermatisi nella Russia sovietica e negli
Stati Uniti.
Si scoprirà inevitabilmente che più che cooperare a
un’au-tentica conoscenza, i giornalisti de «Il Popolo
d’Italia» divulgano una “presunzione di conoscenza”
racchiusa in immagini schematiche, a volte paradossali o in interpretazioni
strumentalmente ideologizzate di fenomeni e realtà che, per
la loro lontananza geografica, vengono banalmente percepiti come esotici
o inaccessibili all’uomo occidentale.
Spesso foriero non di reale comprensione della diversità, ma
compresso in una griglia semplicistica e dalle maglie strettissime,
l’immaginario fascista che ne deriva risulta per molti aspetti
debitore della tradizione culturale ottocentesca e nazionalista, di
cui perfeziona ed esaspera meccanismi e categorie interpretative.
Letto da questa angolatura e concepito come una parte non irrilevante
del primo grande progetto di educazione nazionale, «Il Popolo
d’Italia» permette di aggiungere un ulteriore tassello
all’interpretazione della “prismatica” ideologia
fascista e di cogliere quest’ultima nelle sue molteplici pieghe
e sfaccettature.
Alessia Pedio, dopo aver conseguito il diploma
di perfezionamento in Scienze politiche presso la Scuola superiore
di studi universitari e perfezionamento Sant’Anna dell’Università
di Pisa, nel 2012 ha concluso un post-dottorato biennale presso
il Centre de recherches historiques dell’École des
Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi. Tra le sue
pubblicazioni La cultura del totalitarismo imperfetto. Il Dizionario
di politica del Partito nazionale fascista (1940), Milano 2000
e La divulgazione storica sulla terza pagina de «Il Popolo
d’Italia» (1922-1943), «Annali della Fondazione
Ugo La Malfa», 2008-2009. Ha curato I volti del consenso.
Mass media e cultura nell’Italia fascista, Roma 2004
e attualmente collabora, per la parte di ricerca, alla ristampa
anastatica delle opere della casa editrice di Piero Gobetti, in
uscita dal 2011 per le Edizioni di storia e letteratura di Roma.
Materiali e recensioni:
http://aperto.unito.it/handle/2318/143573#.U3Ruqtgripo
Leggi parte del capitolo 2 e capitolo 3 all'indirizzo: http://www.docsity.com/it-docs/A__Pedio__Costruire_l_immaginario_fascista
15 x 21 cm - 240 pp., con 6 cartine - ISBN 9788871582023
- Euro 28,00
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LABORATORIO
DI STUDI STORICI SUL PIEMONTE E GLI STATI SABAUDI
Saggio introduttivo e cura di Blythe Alice
Raviola
«Il più acurato
intendente»
Giuseppe Amedeo Corte di
Bonvicino e la “Relazione dello stato economico politico dell’Asteggiana”
del 1786
Prefazione di Giuseppe Ricuperati
Giuseppe Amedeo Corte di Bonvicino, figlio del ministro
Giuseppe Vincenzo, fu costituito intendente della Provincia di Asti
nel 1783, a soli ventisei anni. Dopo un intenso triennio di attività
e di puntuale osservazione della realtà territoriale affidatagli,
scrisse la Relazione che qui si pubblica, profonda e articolata
riflessione di un precoce amministratore che dovette misurarsi con
tempi e spazi difficili da gestire e che toccò con mano la
dicotomia tra i principi delle leggi, talora, peraltro, troppo farraginose,
e la loro effettiva applicazione. Il documento è, però,
anche un vero e proprio manifesto delle tensioni progettuali della
generazione di giovani funzionari di cui fecero parte, tra gli altri,
Giovanni Francesco Galeani Napione e Prospero Balbo. Membro, come
costoro, della Reale Accademia delle Scienze sin dalla sua fondazione,
con la Relazione Corte volle non solo rendere conto dello stato dell’Astigiano,
restituendo puntuali informazioni sull’economia dell’epoca,
ma anche proporre concrete riforme burocratico-amministrative che
portassero a un ulteriore accentramento nel controllo delle province
a discapito degli organi comunali locali. Il secondo mandato ad Asti
(1786-1790) e le successive esperienze professionali e biografiche
di Giuseppe Amedeo ricostruite dalla curatrice dall’incarico
presso l’Intendenza di Novara negli anni delle rivolte piemontesi
a quello all’Intendenza di Torino del 1798, dal silenzio di
età napoleonica allo spento ritorno in politica con la Restaurazione
avrebbero finito con l’infrangere tali aspettative e, con esse,
quelle di un’intera stagione dello Stato sabaudo.
Blythe Alice Raviola è dottore
di ricerca in Storia della Società europea in età moderna
e assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Storia dell’Università
di Torino. È autrice di alcuni saggi sul Piemonte sabaudo,
tra i quali Le rivolte del luglio 1797 nel Piemonte meridionale
(«Studi storici», 1998), ha curato con altri l’edizione
degli Annali casalesi (1613-1693) di Giovanni Battista Vassallo
e pubblicato i volumi Il Monferrato gonzaghesco. Istituzioni
ed élites di un micro-stato (1536-1708) (Firenze, 2003),
Cartografia del Monferrato: geografia, spazi interni e confini
in un piccolo stato italiano tra Medioevo e Ottocento (Milano,
2007), L’Europa dei piccoli stati. Dalla prima età
moderna al declino dell’Antico Regime (Roma, 2008). Svolge
attività di ricerca per la Compagnia di San Paolo di Torino,
nell’ambito di un progetto legato alla stesura di una nuova
Storia della Compagnia. Per le edizioni Zamorani ha pubblicato anche
i saggi Servitori bifronti. La nobiltà del Monferrato fra
Casale, Mantova e Torino nel volume L’affermarsi della
corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e Savoia
fra tardo medioevo e prima età moderna (Torino, 2006)
e «A caval donato…». Regali e scambi di destrieri
fra le corti di Torino, Mantova e Vienna (secc. XVI-XVII) nel
volume La caccia nello Stato sabaudo. I. Caccia e cultura (secc.
XVI-XVIII) (Torino, 2010).
15 x 21 cm - 280 pp. - ISBN 88-7158-123-7 -
Euro 26,00
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LABORATORIO
DI STUDI STORICI SUL PIEMONTE E GLI STATI SABAUDI
Saggio introduttivo e cura di Tomaso Ricardi
di Netro
«Fidel amant, sincer ami, tendre
époux»
Uomini, valori e patrimoni
delle nobiltà d’Antico regime nella corrispondenza di
Casimiro e Marianna San Martino di Cardè (1795)
Premessa di Daniela Maldini Chiarito
Le lettere che Casimiro e Marianna, sposi da sei
mesi, si scambiarono nel corso del 1795, nel pieno della Guerra delle
Alpi (1792-1796) che contrappose il Piemonte sabaudo alla Francia
rivoluzionaria, li consegnano al lettore giovani e innamorati nella
vivacità delle loro espressioni e dei loro sentimenti. Il tema
della lettera, recentemente rivalutato dalla storiografia, risulta
qui confermato come inesauribile fonte di umanità nelle pieghe
della storia, specie quando le carte emergono inedite da un archivio.
Nell’introduzione, trascendendo la vicenda privata, viene ricostruito
il contesto familiare delle famiglie degli sposi, i San Martino d’Agliè
ed i Birago di Vische, attraverso la fitta rete di parentele e di
amicizie, facendo emergere identità, frontiere culturali e
aspirazioni di una delle diverse anime della nobiltà piemontese
di antico regime, cui sia Casimiro che Marianna appartengono. La dimensione
storica, infatti, che compare solo di scorcio nelle loro lettere,
contribuisce non solo a definire il loro contesto, ma ne valorizza
anche la vicenda umana e sentimentale.
Tomaso Ricardi di Netro ha lavorato
presso l’Archivio Storico Italgas. Ricopre attualmente il ruolo
di responsabile dell’attività espositiva presso la Reggia
di Venaria Reale, dove ha iniziato la propria attività nel
2002 partecipando al comitato curatoriale e a quello organizzativo
della mostra La Reggia di Venaria e i Savoia. Arte, magnificenza
e storia di una corte europea. Si è occupato di nobiltà
e di ceti dirigenti d’antico regime, con particolare attenzione
agli spazi piemontesi. Nel 2000 ha curato la mostra Gentilhuomini
Christiani e Religiosi Cavalieri. Nove secoli dell’Ordine di
Malta in Piemonte. Per le edizioni della Zamorani ha contribuito
con il saggio Servir due principi. Giacomo Piossasco de Feys tra
le corti dei Farnese e dei Savoia al volume L’affermarsi
della corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e
Savoia fra tardo medioevo e prima età moderna (Torino,
2006) e con Il duca diventa re. Cerimonie di corte per l’assunzione
del titolo regio (1713-1714) al volume Le strategie dell’apparenza.
Cerimoniali, politica e società alla corte dei Savoia in
età moderna (Torino, 2010).
15 x 21 cm - 172 pp. - ISBN 8871581229 - Euro
20,00
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Elena Rossi Artom
Gli Artom
Storia di una famiglia
della Comunità ebraica di Asti attraverso le sue generazioni
(XVI-XX secolo)
Il libro ricostruisce la storia della famiglia Artom,
presentandone anche la genealogia dalla fine del XVI secolo al XX,
attraverso lo studio di documenti notarili e altri inediti. La storia
di una famiglia diventa immediatamente lo specchio fedele della complessa
e poliedrica vita economica e sociale della comunità ebraica
di Asti, dei suoi rapporti con la città, le sue istituzioni
e la sua gente.
Alcuni capitoli sono dedicati alla sinagoga e alle istituzioni della
comunità ebraica di Asti. La pubblicazione di vari documenti
per intero, e di un indice dei documenti relativi alle famiglie ebraiche
connesse con la comunità, rende il libro uno strumento indispensabile
per ulteriori ricerche sulla vita ebraica in Asti.
Elena Rossi Artom, nata ad Ancona,
non potendosi iscrivere all’Università a causa delle
leggi razziali emigrò nel 1939 e frequentò l’Università
ebraica di Gerusalemme. Ha curato il volume Scritti sull’ebraismo
in memoria di Emanuele Menachem Artom (Gerusalemme, 1996) e un
volume in ebraico sullo stesso argomento.
cm 15,5 x 21 - 298 pp. - ISBN 88-7158-063-X
- Euro 28,00
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Anna Rossi-Doria
Sul ricordo della Shoah
Nei saggi raccolti in questo libro si pongono interrogativi e si
suggeriscono spunti di riflessione su alcuni dei difficili nodi
della trasmissione della memoria della Shoah nella fase della sua
crescente istituzionalizzazione. Fra i temi affrontati, il rapporto
di contrapposizione o di intreccio tra memoria e storia, le specificità
della memoria ebraica, la necessità di universalizzare sia
il ricordo che la storia della Shoah.
L’ultimo saggio esamina alcuni diari e memorie di donne ebree
relativi alla loro vita nei ghetti e nei Lager nel contesto degli
studi recenti sulla questione della specificità femminile
all’interno della comune catastrofe.
Nel volume:
Prefazione
Il difficile uso della memoria ebraica: la Shoah
Invocazioni della memoria e ragioni della storia: a proposito del
Giorno della memoria
Il “dovere di memoria”
Memorie di donne
Anna Rossi-Doria, già professore associato
di Storia contemporanea, fa parte del Comitato direttivo dell’IRSIFAR
(Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla
Resistenza) e della direzione della rivista «Passato e presente».
Tra le sue ultime pubblicazioni: Memoria e storia: il caso della
deportazione, 1998; Antisemitismo e antifemminismo nella
cultura positivistica, in A. Burgio (a cura di), Nel nome
della razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945,
1999; Dare forma al silenzio. Scritti di storia politica delle
donne, 2007.
15 x 21 cm - 124 pp. - ISBN 9788871581804 - Euro 18,00
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Paolo Rosso
Studio e poteri
Università, istituzioni e cultura
a Vercelli fra XII e XIV secolo
Studio e poteri contiene una doppia chiave di lettura:
l’espressione del forte rapporto tra università (Studium
generale) e i centri di potere da un lato, e, dall’altro,
l’applicazione allo studio (studere) per la realizzazione
di un percorso di formazione scolastica che diventa un efficace
strumento di promozione sociale e di accesso, con ruoli di primo
piano, ai quadri del potere politico. La storia delle università
nel medioevo legittima entrambe le interpretazioni, e non fa eccezione
l’esperienza universitaria vercellese, avviatasi con la convenzione
stipulata a Padova, nella primavera del 1228, tra i delegati del
comune di Vercelli e i rappresentanti della corporazione degli studenti,
la quale prevedeva la migratio, realizzatasi solo parzialmente,
dell’universitas scholarium.
La fondazione di una università è sempre il risultato
di una convergenza di aspetti culturali e di progetti politici.
Gli attori del trasferimento di uno Studium dal quadrante
nord-orientale della Penisola, dove alcuni Studia erano
già attivi da decenni, all’Italia nord-occidentale,
ancora priva di fondazioni universitarie, sono molteplici: non solo
il comune di Vercelli, tra i più importanti dell’Italia
settentrionale, ma anche le autorità politiche superiori
(l’impero, negli anni seguenti la fondazione dell’università,
e i Visconti, nell’ultima fase) e le istituzioni ecclesiastiche
cittadine.
Questo saggio ricostruisce l’impianto istituzionale assunto
dallo Studium generale in una fase ancora sperimentale
dell’organismo universitario, e il suo ruolo come centro di
formazione per gli esponenti delle maggiori famiglie cittadine e
della piccola nobiltà rurale e urbana cui si aggiunsero,
dalla metà del Trecento, anche le dinastie dell’antica
nobiltà che aspiravano a esercitare le professioni intellettuali,
in particolare quelle giuridiche, andando in buona parte a costituire
una importante componente dell’area di reclutamento dei quadri
delle amministrazioni laiche ed ecclesiastiche.
Paolo Rosso è assegnista di ricerca presso
il Dipartimento di Storia dell’Università degli Studi
di Torino. I suoi studi riguardano soprattutto le istituzioni culturali
nel basso medioevo: è autore di diversi saggi sulle Università
dell’Italia settentrionale (Torino, Pavia e Vercelli) e sui
centri scolastici preuniversitari nei secoli XIII-XV. Tra le sue
pubblicazioni: Documenti per la storia dell’Università
di Pavia nella seconda metà del ’400. II. (1456-1460),
in collaborazione con Agostino Sottili, Milano 2002; «Rotulus
legere debentium». Professori e cattedre all’Università
di Torino nel Quattrocento, Torino 2005; Insignia doctoralia.
Lauree e laureati all’Università di Torino tra Quattro
e Cinquecento, in collaborazione con Irma Naso, Torino 2008.
15 x 21 cm - 320 pp. - ISBN 9788871581835 - Euro 32,00
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Federica
Ruspio
La nazione portoghese. Ebrei
ponentini e nuovi cristiani a Venezia
Dalla fine del Cinquecento, Venezia ospita l’insediamento
degli ebrei “ponentini”, ovvero di quegli ebrei che
erano stati cacciati dalla Spagna e dal Portogallo dopo il 1492.
A questa comunità si affianca una presenza, esigua ma significativa,
di mercanti di origine portoghese che, pur essendo per la maggior
parte nuovi cristiani, venivano percepiti come marrani, ovvero ebrei
che continuavano la professare la loro fede nonostante la conversione
al cristianesimo. Origine e idioma comuni, pratiche sociali ed economiche
condivise definiscono una sfera preferenziale di rapporti ruotante
intorno alla “portoghesità”. Tutti utilizzano
un nome cristiano, parlano portoghese, instaurano rapporti commerciali
e di parentela preferibilmente tra loro: si riconoscono come membri
della nazione portoghese, a Nação, espressione
che coniugava insieme a una specifica provenienza geografica la
connotazione socioprofessionale e quella religiosa. Le due componenti
tesero col tempo a confondersi, tanto da essere percepite come un
gruppo unico, formato esclusivamente di ebrei ponentini. Lo studio
delle pratiche di interazione e di integrazione di questi mercanti
consente di evidenziare il ruolo cruciale dell’appartenenza
simbolica e affettiva a una dimensione che trascende le coordinate
di tempo e di spazio usate tradizionalmente per le comunità
mercantili. Al tempo stesso porta a riflettere sulla posizione occupata
da Venezia nella nuova geografia politica ed economica del Seicento,
restituendole un ruolo tutt’altro che marginale.
Federica Ruspio si è laureata con una
tesi sulla comunità marrana a Venezia a fine Cinquecento.
Successivamente ha esteso la ricerca al Seicento, con attenzione
ai rapporti tra Serenissima e Penisola iberica. Nel 2004 ha studiato
in Spagna come European Fellow. Nel 2006 ha conseguito i titoli
di dottore di ricerca in Storia sociale europea, di Doctor Europaeus
e lo European Doctorate title con una tesi sulle pratiche di interazione
e integrazione dei mercanti di origine portoghese a Venezia. Attualmente
partecipa a un progetto di ricerca sulla demografia ebraica in Italia.
15 x 21 cm - 358 pp. - ISBN 9788871581521 - Euro 30,00
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Anna
Segre
Un
coraggio silenzioso
Leonardo
De Benedetti, medico, sopravvissuto ad Auschwitz
Prefazione
di Stuart Woolf
“Possedeva anche,
oltre alla fortuna, un’altra virtù essenziale in quei
luoghi: una illimitata capacità di sopportazione, un coraggio
silenzioso, non nativo, non religioso, non trascendente, ma deliberato
e voluto ora per ora, una pazienza virile, che lo sosteneva miracolosamente
al limite del collasso”.
Primo Levi, da La tregua.
“Siamo stati liberati insieme; insieme abbiamo
percorso migliaia di chilometri in terre lontane, ed anche in questo
viaggio interminabile ed inspiegabile la sua figura gentile ed indomabile,
la sua contagiosa capacità di speranza, ed il suo zelo di medico
senza medicine sono stati preziosi non solo a noi pochissimi reduci
da Auschwitz, ma ad un migliaio di altri italiani, uomini e donne,
sulla dubbia via di ritorno dall’esilio”. È così
che Primo Levi ricordava su «La Stampa» del 21 ottobre
1983 la figura di Leonardo De Benedetti pochi giorni dopo la sua scomparsa:
parole semplici ma molto efficaci, capaci di rendere in tutta la sua
grandezza la dimensione di un uomo davvero straordinario.
Un uomo cui la vita ha riservato le esperienze più dolorose:
riuscire a fuggire in Svizzera e venire poi respinto in Italia; essere
deportato ad Auschwitz con la moglie e perderne immediatamente le
tracce; apprendere a posteriori della sua immediata uccisione; sopravvivere
ad un anno di indicibili sofferenze e privazioni; ritornare a casa
e ritrovarsi solo perché nel frattempo anche la madre era deceduta.
Un uomo che ciò nonostante ha saputo conservare la fiducia
nell’umanità e ha voluto spendere, così prima
come dopo la tragedia, la sua vita al servizio del prossimo; un uomo
di grande cultura ed umanità che ha lasciato un ricordo indelebile
in chi ha avuto la fortuna di conoscerlo.
Nel libro vengono riprodotte le lettere di Leonardo
e della moglie Jolanda dalla prigionia (dicembre 1943 - marzo 1944),
la corrispondenza della famiglia alla ricerca di Leonardo e Jolanda
(giugno 1944) e le lettere di Leonardo dopo la liberazione di Auschwitz
(gennaio-maggio 1945). In appendice il Rapporto sulla organizzazione
igienico-sanitaria del campo di concentramento per Ebrei di Monowitz
(Auschwitz - Alta Slesia) scritto da Leonardo De Benedetti assieme
a Primo Levi e l’intervista a Leonardo De Benedetti a cura dell’ANED
(30 settembre 1982).
Anna Segre, docente di lettere al
liceo classico, intervistatrice per la Survivors of the Shoah Visual
History Foundation, direttrice di «Ha Keillah», ha pubblicato
Cent’anni di carta. Vita e lavoro della famiglia Diena,
Torino 1998; La Pasqua ebraica. Testo e contesto dell’Haggadà,
Torino 2001; Il mondo del 61. La casa grande dei Vita, Torino
2007.
15 x 21 cm - 134 pp. - ISBN 9788871581514 -
Euro 18,00
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COLLANA
DEL DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO
Francesca
Somenzari
I
prigionieri tedeschi in mano statunitense in Germania (1945-1947)
L’autrice
– che si è avvalsa della documentazione dei National
Archives di Washington, del Comité International de la Croix
Rouge di Ginevra, del Bundesarchiv di Coblenza e dell’Archivio
Segreto Vaticano – ricostruisce nel libro la prigionia tedesca
in mano statunitense in Germania nel triennio 1945-1947, in un momento
di transizione particolarmente delicato che assiste alla resa incondizionata
del Terzo Reich e all’occupazione di uno stato che si è
completamente dissolto. Uno sconvolgimento politico di tali dimensioni
si è riversato inevitabilmente su coloro che hanno combattuto
la “guerra del Führer”. Il lavoro mette al centro
le direttive del War Department di Washington in materia di prigionieri
tedeschi e il ruolo ricoperto dall’esercito americano, stabilendo
fin da subito una distinzione ben precisa tra campi temporanei, totalmente
disorganizzati e senza strutture di accoglienza, e campi permanenti,
“figli” di una politica occupazionale matura e consapevole.
Francesca
Somenzari è dottore di ricerca in Storia Contemporanea.
Ha svolto le sue ricerche in Svizzera, Germania e Stati Uniti. Attualmente
lavora presso il Dipartimento di Storia dell’Università
di Torino. Ha pubblicato diversi saggi, tra cui La lunga odissea
tedesca di fine guerra («Storia e Futuro. Rivista di storia
e storiografia», Siena-Bologna 2006), Americani e francesi
uniti da un desiderio comune di vendetta? I prigionieri di guerra
tedeschi alla fine del secondo conflitto mondiale («Storia
e Futuro», 2007), Il Comitato Internazionale della Croce
Rossa e le sfide del biennio 1945-1946 («Storia e Futuro»,
2009), L’Ufficio informazioni vaticano e i prigionieri di
guerra tedeschi nel dopoguerra («Le Carte e la Storia»,
2009), German Prisoners of War in American Hand in Germany 1945-1947
(Torino 2010).
Recensioni:
http://www.sissco.it/index.php?id=1293&tx_wfqbe_pi1%5Bidrecensione%5D=4937
http://www.recensio.net/rezensionen/zeitschriften/il-mestiere-di-storico/2012/1/ReviewMonograph298881947
http://www.storiaefuturo.com/it/numero_28/scaffale/4_prigionieri-tedeschi~1490.html
15
x 21 cm - 176 pp. - ISBN 9788871581859 - Euro 24,00
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LABORATORIO
DI STUDI STORICI SUL PIEMONTE E GLI STATI SABAUDI
Enrico
Stumpo
Dall’Europa
all’Italia. Studi sul Piemonte in età moderna
Il volume, corredato da un’ampia introduzione di Paola Bianchi,
raccoglie una serie di saggi – oggi di difficile reperibilità
– comparsi su riviste e in volumi e presenta uno studio inedito,
tuttora ricco di notevoli spunti per gli studiosi della prima età
moderna, su Girolamo Federici nel periodo della sua nunziatura nel
Ducato di Savoia (1573-1577). Enrico Stumpo, ha dedicato molta attenzione
alla storia del Piemonte nei primi secoli dell’età
moderna per almeno due ragioni: l’attività svolta dallo
studioso, all’inizio della sua carriera, come funzionario
dell’Archivio di Stato di Torino, e l’attenzione per
una serie di dinamiche economiche, sociali, politiche e culturali
tipiche del “modello sabaudo”. Tale modello è
stato declinato con uno sguardo costantemente aperto al confronto
con la realtà degli antichi Stati italiani ed europei, a
dimostrare lo straordinario spettro d’interessi e di contatti
dello storico con istituzioni culturali nazionali e straniere. Oltre
alla completa bibliografia degli scritti di Enrico Stumpo, non comune
per varietà di temi, utilissimo strumento che correda il
volume è il ricco indice dei nomi.
Dall’indice:
Introduzione di Paola Bianchi
Scritti di Enrico Stumpo:
Gli aiuti finanziari di Venezia al duca Carlo
Emanuele I di Savoia nella Guerra contro la Spagna (1616-1617)
La distribuzione sociale degli acquirenti dei titoli del debito
pubblico in Piemonte nella seconda metà del Seicento
Credito privato e credito pubblico. Due esempi diversi di diffusione
(Toscana e Piemonte tra ’500 e ’600)
Finanze e ragion di Stato nella prima età moderna. Due modelli
diversi: Piemonte e Toscana, Savoia e Medici
I ceti dirigenti in Italia nell’età moderna. Due modelli
diversi: nobiltà piemontese e patriziato toscano
A proposito di rifeudalizzazione: il caso del Piemonte
Guerra ed economia. Spese e guadagni militari nel Piemonte del Seicento
Vel domi vel belli. Arte della pace e strategie di guerra fra Cinque
e Seicento. I casi del Piemonte sabaudo e della Toscana medicea
Tra mito, leggenda e realtà storica: la tradizione militare
sabauda da Emanuele Filiberto a Carlo Alberto
Introduzione alla Nunziatura di Savoia. Il nunzio Federici (1573)
Bibliografia di Enrico Stumpo
Indice dei nomi
Enrico Stumpo (Brindisi 1946 -
Firenze 2010), laureatosi nel 1969 a Roma con Rosario Romeo, vinse
nel 1971 un concorso per la carriera direttiva degli Archivi di Stato,
prendendo servizio a Torino e Firenze. Il suo percorso accademico
iniziò presso l’Università di Sassari (dal 1983)
e continuò presso l’ateneo di Siena, nella sede di Arezzo
(dal 1988). Docente di Storia economica, dal 2001 passò alla
cattedra di Storia moderna. Dedicatosi alla storia degli antichi Stati
italiani in età moderna, in particolare il Ducato di Savoia,
lo Stato della Chiesa e il Granducato di Toscana, è stato autore
di una ricca bibliografia, tra cui si possono ricordare la monografia
I bambini innocenti. Storia della malattia mentale nell’Italia
moderna. Secc. XVI-XVIII (Firenze, 2000), la collana, da lui
voluta e diretta, «Guerra e pace in età moderna. Annali
di storia militare europea» (Milano, dal 2008), e il nucleo
di saggi che stava prendendo corpo dopo l’uscita di Per
una storia del mercato dell’arte nell’Italia moderna.
Aspetti teorici e problemi di ricerca (in La storia e l’economia,
Varese 2003) .
Paola Bianchi, curatrice del volume, è docente
di Storia moderna presso l’Università della Valle d’Aosta.
Ha dedicato diversi studi alla storia degli spazi sabaudi in antico
regime.
Collana “Saggi e studi” 3
15 x 21 cm - 312 pp. - ISBN 9788871582139
- Euro 30,00
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“CONTESTI”
1
Il libro che inaugura una nuova collana
di studi prodotti da giovani ricercatori di storia moderna e contemporanea
ha vinto il
Premio ANCI-Storia 2014
( http://www.sissco.it/articoli/premio-anci-storia-863/premio-anci-storia-2014/
)
Davide
Tabor
Il
cerchio della politica
Notabili, attivisti e deputati a Torino tra ’800 e ’900
Tra Ottocento e primo
Novecento le trasformazioni sociali cominciarono a modificare il
sistema politico dell’Italia liberale; furono gli anni in
cui iniziò ad allargarsi il corpo elettorale e dunque si
estese la gamma degli interlocutori sociali dei candidati e delle
associazioni, e tanto le istituzioni quanto le organizzazioni cominciarono
ad affrontare il problema della partecipazione delle masse alla
vita politica italiana. Il
libro parla di politica “alta” e di politica “bassa”,
di persone importanti, deputati, senatori e ministri, di individui
comuni, artigiani, operai, membri di associazioni popolari, e di
notabili di quartiere. Tra tutti questi attori, infatti, c’erano
nessi, contatti e scambi, e la politica di massa sembrava il frutto,
più che di una nazionalizzazione o di una mobilitazione dall’alto,
dell’interazione tra i vari soggetti che da più parti
contribuivano a costruire le organizzazioni e a definire i messaggi
politici, in “alto” come in “basso”. Dalle
celebrazioni pubbliche alle campagne elettorali, dalla costituzione
di associazioni e comitati elettorali l’analisi di Tabor si
sofferma così su alcuni protagonisti eminenti della cultura,
della politica, dell’impresa e dell’amministrazione
nella Torino – e non solo – a cavallo tra i due secoli:
tra gli altri Leonardo Bistolfi, Giuseppe Durio, Tommaso Villa,
Emilio Sineo, Francesco Crispi, Sidney Sonnino, Edoardo Daneo, Oddino
Morgari.
Davide Tabor è dottore di ricerca in storia
contemporanea e collabora col Dipartimento di Studi Storici dell’Università
di Torino. Nei suoi studi si è dedicato in particolare ad
analizzare la politica da una prospettiva sociale. Tra i suoi indirizzi
di ricerca ci sono: l’adesione e l’opposizione degli
individui al fascismo, la partecipazione dal basso alla politica,
la relazione tra locale e nazionale nella costruzione delle culture
politiche, le politiche pubbliche dell’abitare, le forme di
trasmissione dei valori tra le generazioni, la composizione dei
gruppi sociali. Ha pubblicato vari saggi, tra cui: Operai in
camicia nera? La composizione operaio del fascio di Torino, 1921-1931
in «Storia e problemi contemporanei», n. 36, 2004;
Luoghi della memoria: uso simbolico dello spazio urbano nella
periferia torinese. 1880-1906 in «Bollettino Storico-Bibliografico
Subalpino», vol. XVII, 2009; Il popolo alle urne. Un’analisi
del comportamento elettorale a Torino tra la fine dell’Ottocento
e la Grande Guerra in «Quaderni Storici», n. 1,
2011; L’arte della propaganda. Il modello di proselitismo
del Psi tra fine Ottocento e inizio Novecento, in «Contemporanea»,
n. 4, 2011; Giovani partigiani e legami intergenerazionali.
Una mappa generazionale del artigianato torinese, in «Quaderni
di Storia Contemporanea», n. 53, 2013.
15
x 21 cm - 288 pp. - ISBN 9788871582016 - Euro 32,00
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Carla
Tallone - Vera Vigevani Jarach (a cura di)
Il silenzio infranto
Il dramma dei desaparecidos italiani in Argentina
Prologo
di Ernesto Sábato
«Senza oggetto del dolore non c’è
dolore possibile e le ferite continueranno a sanguinare indefinitamente...
Quando naufraga un peschereccio e “scompaiono” persone
i cui corpi non sono recuperati in mare, i famigliari continuano a
cercarli, aspettando contro ogni ragionevole speranza; e fantasticano
con le ipotesi più cervellotiche... Per questo, non inganniamoci,
le madri e i famigliari ... continueranno a muoversi nella storia
del nostro paese e non solo in Plaza de Mayo, fino a che non riusciremo
a trovare fra tutte una forma effettiva di giustizia legale, storica
e sociale.»
In copertina: automobile Ford modello Falcon.
«Il giorno del sequestro arrivarono tre o quattro macchine,
quei famosi Ford Falcon, da cui uscirono tipi con facce truculente
e armati che ci apostrofarono: “Questo è un arresto!”»
Il volume raccoglie preziose testimonianze sui desaparecidos
italiani attraverso il racconto diretto dei pochi sopravvissuti, dei
famigliari e di testimoni che vissero quei tragici anni in Argentina.
Vera Vigevani Jarach è nata a Milano nel 1928
ed emigrata in Argentina nel 1939 dopo le leggi razziali. È
stata per 40 anni redattrice dell’agenzia ANSA di Buenos Aires
e per lungo tempo collaboratrice del supplemento letterario «Tuttolibri»
della «Stampa» di Torino. È coautrice dei libri
Tante voci, una storia. Italiani ebrei in Argentina 1938-1948
e Los chicos del exilio. Argentina (1975-1984). Fa parte
delle “Madri di Plaza de Mayo - Línea Fundadora”,
della “Fundación Memoria Histórica y Social Argentina”
e della “Asociación de familiares de desaparecidos judíos”.
Carla Tallone è nata a Buenos
Aires nel 1959 da genitori italiani. Dopo la scomparsa del fratello
Renato si è trasferita in Italia dove si è laureata
in Lingue all’Università di Milano. Ha tradotto libri
di poesia e teatro, e testi per bambini ed adolescenti. Rientrata
in Argentina, dirige l’azienda creata dal padre.
15
x 21 cm - 232 pp. - ISBN
9788871581316 - Euro
18,00
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COLLANA
DELL’ARCHIVIO EBRAICO BENVENUTO E ALESSANDRO TERRACINI
Bruno Taricco
Gli ebrei di Cherasco
Prefazione di Alberto Cavaglion
«Il Sindaco informa il Consiglio Comunale di
Cherasco che due Ebrei, Anselmo Montagnana e Benedicto De Benedictis,
lo hanno appena incontrato e gli hanno fatto presente che il Principe
di Piemonte gli ha concesso il permesso di vivere nell’area
circostante Asti. Poiché intendono stabilirsi in Cherasco,
essi sperano nella benevolenza del comune.
[…] Il giorno seguente il Sindaco conferma l’autenticità
della patente… i rappresentanti comunali esprimono il loro consenso
e convengono di ammettere i due Ebrei in città». Cherasco,
Ordinati di Consiglio, 1547
L’8 luglio 1547 due ebrei arrivarono a Cherasco
e chiesero di poter risiedere in città. Il giorno dopo il permesso
fu accordato. È l’inizio di una storia destinata a superare
i secoli. La comunità ebraica cheraschese creò in fretta
le strutture essenziali, si sviluppò numericamente, si radicò
così profondamente da poter ovviare alle difficoltà
e così largamente nel tessuto sociale ed economico che nell’Ottocento
un conte poteva osservare: “si sa che da noi si famigliarizza
di troppo cogli ebrei, perciò ci chiamano gli ebrei di Cherasco”.
Il libro ripercorre la storia della presenza ebraica a Cherasco, piccola
città piemontese, dal primo insediamento documentato a metà
del XVI secolo fino ai giorni nostri. Sono acclusi alberi genealogici
elaborati da Marco Luzzati delle principali famiglie ebraiche cheraschesi:
De Benedetti, Segre, Lattes.
Bruno Taricco, docente di Italiano
e Latino, da oltre trent’anni è conservatore del museo
Adriani di Cherasco e da qualche anno fa parte del consiglio del CISIM
(Centro internazionale per gli studi sugli insediamenti medievali).
Si interessa di storia locale e in questo settore ha pubblicato alcuni
libri relativi soprattutto alle vicende cheraschesi (Cherasco
Urbs firmissima pacis, Cherasco medievale, Cherasco
barocca, Guida di Cherasco) e verdunesi (Documenti
e appunti per una storia di Verduno) oltre a numerosi saggi su
personaggi, palazzi, avvenimenti della città in cui risiede.
15 x 21 cm - 288 pp. + 8 tavole f.t. a colori
e 7 alberi genealogici di Marco Luzzati - ISBN 9788871581699 - Euro
28,00
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Bruno
Taricco
Cronache cheraschesi del secondo periodo
francese (1796-1815)
Il ventennio del secondo “periodo francese”, iniziato
nella primavera del 1796 con la campagna d’Italia del Bonaparte
e conclusosi in quella del 1814 con la distruzione dell’impero
napoleonico, fu indubbiamente straordinario e rimane essenziale
per comprendere i successivi sviluppi della storia di Cherasco,
in quanto si pone come uno spartiacque ineludibile tra la vecchia
concezione e la nuova, che proprio quei fatti determinarono.
Anche se la Restaurazione tentò di farne dimenticare le vicende,
come se quegli anni non fossero mai esistiti, la realtà cheraschese
del 1815 era totalmente diversa da quella del 1796 e non solo perché
le fortificazioni erano state spianate, si erano costruiti e abbattuti
tanti alberi della libertà e, ancora, Narzole era diventata
indipendente, ma soprattutto perché cambiata era la funzione
storica della città, mutate erano la mentalità, il
modo di ragionare, il bagaglio di esperienze che le persone si portavano
appresso, anche se molte non lo avrebbero mai ammesso.
Bruno Taricco, docente di Italiano e Latino, da
oltre trent’anni è conservatore del museo Adriani di
Cherasco e da qualche anno fa parte del consiglio del CISIM (Centro
internazionale per gli studi sugli insediamenti medievali). Si interessa
di storia locale e in questo settore ha pubblicato alcuni libri
relativi soprattutto alle vicende cheraschesi (Cherasco Urbs
firmissima pacis, Cherasco medievale, Cherasco
barocca, Guida di Cherasco) e verdunesi (Documenti
e appunti per una storia di Verduno) oltre a numerosi saggi
su personaggi, palazzi, avvenimenti della città in cui risiede.
15 x 21 cm - 374 pp. - ISBN 9788871581866 - Euro 32,00
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Bruno Taricco
Il ghetto delle Cherche.
Appunti per una storia della comunità ebraica di Carmagnola
Prefazione di
Alberto Cavaglion - Appendice
di Ilaria Curletti
«La linea sinuosa, ma invisibile che unisce
Saluzzo-Carmagnola-Torino è più marcata di altre che
legano le relazioni umane, i rapporti commerciali, i reticoli famigliari,
fin dalle origini quattro-cinquecentesche. [...] Non un triangolo,
ma un segmento curvo unisce le tre comunità ebraiche di Saluzzo,
Carmagnola e Torino, che hanno avuto storie dissimili fra loro, ma
unite da questo filo vettoriale, che indica una direzione, un percorso
di migrazione: dalla periferia al centro».
(dalla Prefazione al volume di Alberto Cavaglion)
Con questo libro Bruno Taricco continua
la sua indagine sulla storia degli ebrei in Piemonte: dopo Cherasco
sono gli archivi di Carmagnola a ridare la trama della presenza ebraica
nella città, dai primi documenti che risalgono agli anni dell’ultimo
Medioevo (nel 1467 un atto notarile vi attesta la residenza di un
ebreo), all’ampliarsi a più famiglie nel Cinquecento
e nei secoli successivi. Alcuni capitoli percorrono la storia della
comunità: gli insediamenti nel XVI secolo, il Seicento, il
passaggio alla segregazione nel ghetto, la svolta della prima emancipazione
francese e la successiva entrata, dopo il 1848, a pieno titolo nella
vita del Regno, fino alla partecipazione alla guerra del 1915-18 e
al graduale esaurirsi della comunità a Carmagnola – con
le trasformazioni economiche e sociali da un lato e lo sprofondare
del Paese nelle leggi razziste del 1938, nella Seconda guerra mondiale,
nella deportazione degli ebrei e, dall’altro lato, la loro partecipazione
alla Resistenza. Parte essenziale del volume è il ricco apparato
documentario che sorregge sempre la descrizione delle attività,
strutture e dinamiche sociali della comunità e fornisce un’ampia
base di riferimento per approfondimenti e confronti.
L’Appendice, a cura di Ilaria Curletti, riporta il testo delle
visite all’Università ebraica dei vescovi nel 1702 e
nel 1746.
Bruno Taricco docente
di Italiano e Latino, da oltre trent’anni è conservatore
del museo Adriani di Cherasco e da qualche anno fa parte del consiglio
del CISIM (Centro internazionale per gli studi sugli insediamenti
medievali). Si interessa di storia locale e in questo settore ha pubblicato
alcuni libri relativi soprattutto alle vicende cheraschesi –
tra gli altri Cherasco Urbs firmissima pacis, Cherasco
medievale, Cherasco barocca, Guida di Cherasco,
Cronache cheraschesi del secondo periodo francese (1796-1815)
– e verdunesi (Documenti e appunti per una storia di Verduno)
oltre a numerosi saggi. Ha approfondito la storia plurisecolare dell’insediamento
ebraico nella città in cui risiede con il volume Gli ebrei
di Cherasco, pubblicato dalla Silvio Zamorani nel 2010.
15 x 21 cm - 536 pp. - 80 illustrazioni
nel testo - ISBN 9788871582269 - 42,00 Euro
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Giuliana
Tedeschi
Memoria
di donne e bambini nei Lager nazisti
«Ecco il ritratto di una donna al suo primo impatto
con la realtà del Lager, cinquanta e più anni or sono.
A quel tempo una donna teneva più di oggi alla propria riservatezza
fisica, alla cura del proprio corpo, perfino alla ricerca estetica
di armonia nel vestiario e non esibiva senza traumi la propria nudità.
Eccola nel Lager: ha appena subito sul suo corpo la violenza di mani
estranee che, con rasoi poco affilati, le hanno depilato le parti
intime, le è stato impresso un marchio sul braccio sinistro,
ha provato l’orrore del freddo metallico della macchinetta tosatrice
sulla cute, ha visto le ciocche della sua capigliatura cadere ai suoi
piedi...».
L’autrice fu deportata col marito e con la suocera
ad Auschwitz-Birkenau. Ritornata sola, ha potuto ritrovare le due
bambine, messe in salvo dalla domestica. Si è dedicata all’insegnamento
e alla testimonianza nelle scuole sulla feroce persecuzione antisemita.
Questa sua breve Memoria è stata pubblicata in occasione
del cinquantenario della Liberazione e per la commemorazione dello
Yom ha-Shoà.
32
pp. - ISBN 9788871580418
- Euro 4,00
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Carla
Tonini
Il tempo dell’odio
e il tempo della cura
Storia di Zofia Kossak,
la polacca antisemita
che salvò migliaia di ebrei
Nella Varsavia del 1942 una donna fonda un’organizzazione
di soccorso che sottrae alla morte migliaia di ebrei: è Zofia
Kossak, scrittrice cattolica e figura di spicco della resistenza polacca,
nota per il suo antisemitismo. Negli anni trenta aveva appoggiato
pubblicamente l’introduzione di misure discriminatorie nei confronti
degli ebrei; quando i nazisti iniziano le deportazioni dal ghetto
di Varsavia fa distribuire Protest, un volantino in cui chiama i polacchi
a protestare contro lo sterminio, ribadendo nello stesso tempo che
gli ebrei rimangono “nemici della Polonia”.
La sua storia, dalla nascita, nel 1890, in una famiglia della nobiltà
polacca di tradizioni liberali, alla morte, nel 1968, sotto il regime
comunista, è narrata per la prima volta in questo libro che
ne mette in luce gli aspetti drammatici e paradossali.
La tradizione familiare di ospitalità; il nazionalismo, che
la spinse a preoccuparsi dei casi di collaborazione dei polacchi con
l’occupante nazista; il recupero dei valori cristiani; ma soprattutto
la capacità, tutta femminile, di costruire reti di relazioni,
permettono a Zofia Kossak di sospendere il “tempo dell’odio”
e di prendersi “cura” degli ebrei.
Carla Tonini insegna Storia dell’Europa
orientale all’Università di Bologna. È autrice
di saggi e volumi sulla Polonia, paese nel quale ha soggiornato a
lungo. Tra i suoi lavori ricordiamo Operazione Madagascar. La
questione ebraica in Polonia, 1918-1968 (Bologna, 1999); The
Jews in Poland after the Second World War. Most Recent Contributions
of Polish Historiography, in «Quest. Issues in Contemporary
Jewish History» (http://www.quest-cdecjournal.it/focus.php?issue=1&id=211).
Per saperne di più su questo libro: http://www.diesse.org/detail.asp?c=1&p=0&id=1188
Recensioni alle pagine:
http://www.ism-regalita.it/testi/zofia_kossak.rtf
http://www.silvanacalvo.ch/DD%20RECENSIONI%20E%20SCHEDE/31%20RECENSIONI%20E%20SCHEDE%20-%20m%20Tonini%20Carla/31%20m%2002%20Il%20tempo%20dell'odio%20e%20il%20tempo%20della%20cura.htm
15 x 21 cm - 208 pp. - ISBN 978-8-7158-137-8
- Euro 20,00
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Luca
Ventura
Ebrei con il duce
«La nostra bandiera» (1934-1938)
Prefazione di Fabio Levi
Gli ebrei raccoltisi intorno al periodico torinese «La nostra
bandiera» ancora nell’imminenza delle leggi razziali
del 1938 non esitarono a ribadire la propria fiducia nel duce del
fascismo e ad affidarsi a lui. Era un atteggiamento consolidatosi
negli anni, con una continuità e una determinazione a dir
poco incrollabili: come se, una volta deciso di offrire a Mussolini
il pegno della propria fedeltà in cambio di una ipotetica
speranza di protezione per sé e per tutti gli ebrei italiani,
non fosse stato neppure pensabile, pur in presenza di un clima sempre
più minaccioso e forse proprio in ragione di esso, intraprendere
un cammino diverso. Eppure tutto ciò non valse la salvezza:
non quella degli ebrei italiani e neppure quella dei bandieristi.
Fra gli innumerevoli risvolti della campagna antisemita di Mussolini
ci fu anche la loro vicenda e, per alcuni fra essi, la fine più
tragica.
15 x 21 cm - 136 pp. - ISBN 978-88-7158-119-4 - Euro 15,00
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Sara
Vinçon
Vite
in transito
Gli
ebrei nel campo profughi di Grugliasco (1945-1949)
Prefazione di Fabio Levi
Il libro indaga la vita concreta fra il 1945 e il 1949 dei profughi
ebrei provenienti dalle più diverse parti d’Europa
e ospitati nell’ex ospedale psichiatrico di Grugliasco, nonché
il loro impatto sulla realtà italiana e torinese del dopoguerra.
Un ampio flusso di donne e di uomini si riversò infatti nella
penisola dopo la fine del secondo conflitto mondiale, alla ricerca
di un rifugio temporaneo da cui ripartire verso una meta nuova e
possibilmente definitiva dove ricominciare a vivere. Quel via vai
di profughi rappresentava un’ulteriore ragione di confusione
in un contesto che anelava a ridarsi un ordine e reagiva ai nuovi
arrivati con un misto di aperture e di diffidenze, di ospitalità
nell’immediato, ma di scarsissima disponibilità all’accoglienza
stabile e tanto meno all’integrazione.
Esemplare in un tale contesto è il racconto della vicenda
di Judith Schwarcz Rubinstein, nata in Ungheria, deportata ad Auschwitz,
rifugiata a Grugliasco e poi emigrata in Canada.
Sara Vinçon ha conseguito la laurea magistrale
in Storia contemporanea presso l’Università degli studi
di Torino e ha ottenuto una specializzazione in servizio sociale
alla Baltimore Hebrew University (Maryland, USA).
Si veda recensione all’indirizzo http://www.recensio.net/rezensionen/zeitschriften/il-mestiere-di-storico/2010/1/ReviewMonograph186174605
15 x 21 cm - 175 pp. - ISBN 9788871581569 - Euro 18,00
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